I congressi del PCI dal 1948 al 1979

Estratti dalle Tesi, dalle relazioni e dalle conclusioni dei segretari nazionali.

A cura di Vladimiro Merlin, presidente Associazione Politico-Culturale “Cumpanis” Milano; del Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo”

Tema 1: Internazionalismo, pace, guerra, NATO.

Premessa:

Non sono io che ho fatto il lavoro di estrazione dei contenuti, sulle varie tematiche, dalle tesi e dalle relazioni e conclusioni dei vari congressi, ma le ho tratte da un libro, ora non più disponibile, edito dalla Cooperativa Aurora di Milano e curato da un grande dirigente del PCI, oltre che comandante della 12ma Brigata Garibaldi nella guerra di Spagna e comandante della Divisione Garibaldi durante la Resistenza nella Marche: Alessandro Vaia.

Io ho solo ridotto in parte i testi, nel libro a questo tema sono dedicate 64 pagine, cercando di mantenere i passaggi politici fondamentali e togliendo la questione dell’Europa e poi della UE a cui sarà dedicato un tema a sé stante, anche così ne sono uscite 17 pagine di testo.

A questa parte ho aggiunto degli estratti, curati da me, relativi al congresso del 1983, il libro di Vaia arrivava fino al 1979, ma mi sembrava utile aggiungere quanto su quei temi era stato scritto e detto anche nel congresso successivo che fu l’ultimo di Berlinguer.

Ritengo che sia utile, oggi, leggere questi testi, confrontandoli tra loro, per capire l’evoluzione (o, dal mio punto di vista l’involuzione) del PCI, che lo porterà, poi, al suo scioglimento.

Leggendo questi testi si vede che la linea del PCI, sui temi in oggetto, rimane sostanzialmente immutata fino al 1972.

In realtà dal Congresso del 1960 si comincia a parlare della “ coesistenza pacifica “, che risulterà essere una illusione sul piano di una convivenza pacifica ed una competizione solamente economico/politica con l’imperialismo, l’unico fattore che limiterà l’aggressività dell’imperialismo sarà la deterrenza militare/atomica dell’URSS ma, come sappiamo, l’imperialismo continuerà ininterrottamente con le guerre, con i colpi di stato in tutto il mondo e con  le azioni di destabilizzazione dell’URSS e dei paesi socialisti, oltre che con la corsa agli armamenti.

Comunque, questo elemento discutibile della coesistenza pacifica dal congresso del ’60 in poi sarà un elemento di ambiguità che, a mio parere, contribuirà a disarmare politicamente ed ideologicamente non solo il PCI ma anche il movimento comunista internazionale.

Ma questi riferimenti alla coesistenza pacifica, come potrete leggere, non modificano il quadro politico e teorico sul tema delle questioni internazionali, nel PCI, che rimane quello dei congressi precedenti, i cambiamenti, evidenti ed importanti cominciano con il congresso del 1972 e si sviluppano in quelli del 1975 e 1979, infine si approfondiscono ancora di più nel 1983.

Ancora nel congresso del 1969, che si aprirà con Longo segretario e si chiuderà con le conclusioni di Berlinguer, eletto nuovo segretario, la relazione di Longo si svolge nel quadro politico/teorico dei congressi precedenti, ed anche le conclusioni di Berlinguer, che ripetutamente cita e conferma le posizioni espresse nella relazione di Longo, ribadiscono in pieno i contenuti che hanno caratterizzato, fino a quel momento, il PCI.

I tre cardini principali che dal ’46 al 1969 fondano le analisi e linea del PCI sono: l’imperialismo, l’internazionalismo e la questione della NATO.

Nel Congresso del 1972 ancora non si assiste a grandi modifiche della linea se non nella relazione di Berlinguer in cui si comincia a dire che il problema della NATO non si risolve con un semplice pronunciamento “pro o contro il patto militare” e si comincia a collegare  “con un moto generale di affrancamento dell’Europa dall’egemonia americana e di superamento graduale , fino alla liquidazione , dei blocchi contrapposti”, quindi si sposta il soggetto che non è più l’Italia ma dovrebbe essere l’Europa e si introduce il concetto di processo graduale.

Mentre nel secondo pezzo della relazione Berlinguer riconferma l’identità comunista e la critica della socialdemocrazia.

Nel congresso del 1975 le differenze dai precedenti si approfondiscono ulteriormente, nella sua relazione Berlinguer afferma: “Non risponde agli interessi e alle aspirazioni più profonde delle masse lavoratrici e dell’intera nazione collocarsi in una posizione di ostilità verso l’Unione Sovietica o verso gli Stati Uniti. E’ anche per questo che abbiamo affermato che noi non poniamo la questione dell’uscita dell’Italia dal Patto Atlantico, in quanto questa eventualità , e ogni altra uscita unilaterale dall’uno o dall’altro blocco, in una situazione come quella europea non solo non sono effettuabili , ma finirebbero per ostacolare o persino rovesciare quel processo di distensione internazionale che si presenta concretamente come la sola via attraverso la quale si possa giungere al graduale superamento dei blocchi stessi.”

Qui già abbiamo un capovolgimento di posizioni, il PCI non proclama più di perseguire l’uscita dell’Italia dalla NATO, anzi l’eventuale uscita diventerebbe un fattore negativo anche per altri motivi che potrete leggere nel testo.

Ma per di più pone, di fatto, sullo stesso piano l’ostilità (che sarebbe negativa per il popolo italiano) sia verso l’Unione Sovietica che verso gli Stati Uniti.

Nel paragrafo successivo appare un primo riferimento (anziché una critica come nei precedenti) ai rapporti che il PCI sta sviluppando con “forze del movimento operaio e socialista occidentale “frase che, collocata nel contesto di un elenco di rapporti, può non apparire significativa, ma lo diverrà, come vedremo, nel successivo congresso del 1979.

La questione dell’imperialismo che è sempre stata centrale nelle tesi e nelle relazioni e conclusioni dei segretari nazionali, qui inizia a declinare e perde centralità.

Nel Congresso del 1979 la prima tesi citata (la Tesi 2) sembra quasi ritornare all’impostazione precedente il 1972: “Si prolunga e si aggrava la crisi storica del sistema capitalistico e imperialistico. Il mutamento della struttura del mondo, dopo la rottura rivoluzionaria dell’Ottobre sovietico, è proseguito con la costruzione di società socialiste o di indirizzo socialista in altri paesi di diversi continenti, e si è sviluppato con il grandioso moto di liberazione dall’oppressione colonialista. Anche in molti paesi capitalistici le lotte del movimento operaio hanno realizzato importanti conquiste sul piano economico e sociale e sul piano politico.”

Ma, scusate la malignità, mi appare più come una captatio benevolentiae, per poter far digerire ai delegati quanto poi segue nelle tesi successive.

Infatti nella tesi 40 si esordisce con le parole: “La gravità dei problemi del mondo contemporaneo rende necessaria, più che mai, la collaborazione di tutte le forze democratiche e di pace, e innanzitutto tra le forze comuniste e socialiste, tra i movimenti rivoluzionari e progressisti di ogni paese del mondo. “e più avanti “Bisogna con coraggio e con grande ampiezza di vedute uscire dagli schemi ereditati dai vecchi rapporti tra gli Stati e da concezioni superate dell’internazionalismo, bisogna spingere avanti il processo di distensione internazionale.”

Quindi il “vecchio” internazionalismo va superato, la critica della socialdemocrazia sparisce, ed il rapporto con i socialisti appare il fattore di “innovazione” dell’internazionalismo.

Questo aspetto risulta particolarmente evidente nella tesi 6 dove si afferma: “la lotta per un nuovo assetto mondiale fondato sulla pace, sulla giustizia e sulla cooperazione di tutti i popoli ha un suo punto focale nell’Europa occidentale. L’Europa occidentale può arrestare il declino della funzione culturale e civile che appartiene alla sua migliore tradizione, e acquistare una nuova funzione positiva nell’interesse di tutta l’umanità, solo se le diverse organizzazioni politiche, sindacali e di massa del movimento operaio e tutte le forze democratiche sapranno collaborare ed unirsi per realizzare i grandi obiettivi della difesa e del progresso della democrazia, della pace, dell’indipendenza e dello sviluppo di tutti i popoli , della cooperazione internazionale. “

Come si vede “l’Europa Occidentale” diventa il soggetto “punto focale” per la lotta per un nuovo assetto mondiale e la condizione sarebbe che “le diverse organizzazioni politiche, sindacali e di massa del movimento operaio e tutte le forze democratiche sapranno collaborare ed unirsi…” quindi i socialisti, ma non solo, credo di non fare forzature se penso che si riferisca perlomeno a settori della DC.

Infatti, per quanto riguarda le socialdemocrazie poco sotto si afferma: “ Si determina, in campo socialdemocratico, una differenziazione tra le forze che continuano a battere una via che esclude sostanziali modificazioni del sistema capitalistico e che mantiene una divisione del movimento operaio, e altre forze che cominciano a porsi, anche con una riflessione autocritica, il problema del superamento del capitalismo e della ricerca di un incontro fra tutte le forze rappresentative del movimento dei lavoratori.”

Quanto appena detto viene rilanciato nella tesi 7, in cui si afferma: “Nelle condizioni di oggi, dunque, ripensamenti critici sono venuti e vengono maturando in tutte le forze progressiste e rivoluzionarie, democratiche avanzate, socialdemocratiche, socialiste, cristiane. Vi sono possibilità nuove di dialoghi costruttivi e di intese: per l’umanità, per l’Europa, per l’Italia.”

Le possibilità positive cui si allude sono “per l’umanità, per l’Europa, per l’Italia”, dove sta in tale contesto la lotta antimperialista e dove stanno le classi sociali se il riferimento è all’umanità tutta o all’Europa in quanto tale, e dove sta la prospettiva del socialismo?

Potrete leggere più in dettaglio la tesi 7, ma è significativo che la chiusa di tutte le argomentazioni di questa tesi sia: “E’ questa la scelta dell’eurocomunismo. “

Nella tesi 44 si chiarisce ulteriormente quanto ho appena detto, vi si legge: “In una nuova concezione dell’internazionalismo particolare attenzione va dedicata ai rapporti tra partiti comunisti, socialisti e socialdemocratici. Il PCI ha operato e opera, anche su scala internazionale, per favorire il confronto delle idee e la convergenza con i partiti socialisti e socialdemocratici.

Esistono oggi le condizioni, attraverso il confronto critico, per aprire un processo che tenda al superamento delle divergenze storiche e ad una ricomposizione unitaria del movimento operaio dell’Europa occidentale.

Questa possibilità è resa più evidente dalla linea assunta, con l’eurocomunismo, da alcuni partiti comunisti dell’Occidente. “

Mi perdonerete la lunga citazione del testo ma mi appare particolarmente significativa in quanto allude apertamente al superamento del Partito Comunista.

Inoltre il “vecchio” internazionalismo che riguardava prima di tutto il rapporto con gli altri partiti comunisti e rivoluzionari del mondo, con gli stati socialisti e con i movimenti di liberazione nazionale, viene sostituto dal “nuovo” internazionalismo che mette i soggetti precedenti sullo stesso piano dei partiti socialdemocratici o cattolici democratici, ma in realtà li pone al di sopra di altri visto che il ruolo dell’Europa viene definito focale per un nuovo assetto mondiale.

Nella tesi 34 si riafferma la nuova posizione del PCI sulla NATO che si era posta già nel congresso precedente e si ribadisce la questione del “superamento graduale”, ci si esprime contro “ rotture unilaterali” e si arriva a :”Da ciò deriva la necessaria permanenza dell’Italia nell’alleanza atlantica, che deve operare a fini esclusivamente difensivi nel preciso ambito geografico per cui è stata creata.”, cioè all’affermazione della necessaria permanenza dell’Italia nella NATO, che è un ribaltamento di 180° della posizione che aveva sempre avuto il PCI fino al congresso del 1969 compreso.

Il congresso del 1983 è il primo in cui il PCI non presenta un documento di tesi, ma un documento molto più sintetico e discorsivo, adducendo anche la motivazione che buona parte delle questioni fondamentali erano state delineate nel congresso precedente e verrebbero qui confermate.

Ma in realtà si fanno degli ulteriori e importanti passi avanti nel percorso di allontanamento dalle posizioni che venivano espresse fino al 1969.

Cominciamo dal documento politico.

Nella sua premessa si comincia evidenziando i principali problemi che incombono, il primo sarebbe la novità delle armi atomiche, cito testualmente gli altri due:

“- allo squilibrio crescente tra paesi industrializzati e aree sottosviluppate, nelle quali tra meno di 20 anni vivrà l’80% degli uomini

– al vero e proprio limite che incomincia a incontrare l’attuale tipo di sviluppo, sia per la rapina e lo spreco di risorse giunto al saccheggio della natura e alla degradazione dell’ambiente, sia per i bisogni che lo sviluppo stesso ha creato e che non è più in grado di soddisfare”

Come si vede manca il soggetto che genera questi problemi, cioè l’imperialismo che è sostituito da concetti generici come “paesi industrializzati”, infatti poco dopo si afferma: “dall’insieme dei processi appena richiamati, emerge una tendenza a concentrare in sedi ristrette e incontrollate poteri che sono essenziali per la vita della gente”, quali sono le “sedi ristrette” e quali sono i “poteri essenziali”?

In sostanza il concetto di imperialismo è completamente espunto dalle analisi e dalla linea del PCI, come vedremo verrà citato solo, di sfuggita, un paio di volte, mentre si parla di altro e, comunque, non è più l’imperialismo il problema fondamentale del mondo per il nuovo PCI.

Ma si va oltre, infatti poco dopo si afferma “Di fronte ad un simile quadro […] appaiono invecchiate e talvolta anacronistiche tante dispute ideologiche che hanno diviso per decenni le diverse correnti della sinistra.”

Quindi le differenze tra comunisti, socialisti, socialdemocratici e le altre “diverse correnti della sinistra” non esisterebbero più, al limite le differenze sarebbero sul terreno delle scelte politiche del momento.

Guardando, oggi, le socialdemocrazie europee in prima fila in tutte le guerre dell’imperialismo si capisce bene l”insulsaggine di tali tesi.

Questi concetti vengono ribaditi ed articolati anche nei passaggi seguenti, per poi arrivare ad un altro concetto chiave che viene estrinsecato in questo congresso e cioè sarebbe “esaurita la spinta propulsiva di una esperienza storica del socialismo, quella contrassegnata dal modello politico, statale e ideologico realizzato in URSS” […]

Notate che non si tratta di una critica alla società sovietica del 1983, è una liquidazione molto più profonda di tutti gli aspetti politici, statali e ideologici realizzati dalla rivoluzione d’Ottobre in Russia.

E’ in questo quadro di critica così profonda dell’esperienza sovietica che si cita per la prima volta l’imperialismo: “Improponibile è per il PCI ogni ritorno a vecchie “scelte di campo”. Ma questo non significa affatto estraniarsi dagli scontri reali sul piano internazionale nei quali siamo intervenuti e interveniamo sulla base della nostra caratterizzazione di forza che si oppone all’imperialismo e che lotta per la pace, la libertà e l’indipendenza dei popoli”.

Ma questa fuggevole citazione dell’imperialismo, sostanzialmente l’unica in tutto il documento, sembra messa lì per tranquillizzare i militanti a fronte dello “strappo” della “fine della spinta propulsiva”, infatti non è più alla base dell’analisi internazionale del PCI.

E poco dopo si afferma: “Banco di prova effettivo dell’internazionalismo è la lotta per la pace e per un nuovo ordine economico mondiale. […] Perciò l’azione per la pace non può essere considerata monopolio di nessun partito o classe sociale, di nessuno Stato o blocco di Stati, di nessuno schieramento internazionale”.

I comunisti non hanno mai limitato i confini del movimento per la pace, ma qui si nega che i comunisti, essendo per altro i più coerenti avversari dell’imperialismo, sono sempre stati alla testa dei movimenti per la pace, a differenza di altre forze politiche, come per esempio i socialdemocratici.

Nella relazione introduttiva di Berlinguer si trova la seconda citazione del termine imperialismo, ma anche qui in negativo, nel senso che si usa per dire che non si ignora l’azione dell’imperialismo, si dice: “Non è vero che questa impostazione dei Comunisti Italiani ignora la lotta di classe e l’azione dell’imperialismo[…] In particolare oggi noi vediamo bene, denunciamo e ci opponiamo alla pericolosissima politica di Reagan e ai suoi attentati e minacce all’indipendenza dei popoli a cominciare da quelli di Cuba, del Nicaragua, del Salvador, del Guatemala […] ai quali rinnoviamo il nostro impegno di solidarietà[…].

Dalla lettura dei testi potrete veder ulteriormente ribaditi e sviluppati i concetti finora evidenziati.

Come abbiamo visto i tre concetti cardine che hanno caratterizzato il PCI dalla sua nascita, ed in particolare dal ’46 al  1972 sono completamente stravolti o liquidati, l’internazionalismo etichettato come “vecchio” viene sostituito dal “ nuovo internazionalismo” nei termini che abbiamo visto, il concetto di imperialismo è sostanzialmente liquidato (e lo sarà esplicitamente negli anni successivi ) e la lotta contro la NATO e per l’uscita dell’Italia è diventata rimanere nella NATO anzi, in quel periodo, si arrivò a parlare di “ombrello protettivo della NATO” , come corollario a tutto ciò vi è, ormai, l’equiparazione di fatto dei partiti comunisti e socialdemocratici come se fossero la stessa cosa e con essa del ruolo focale dell’Europa per cambiare il quadro internazionale.

Il ribaltamento, su questi temi, è quasi totale.

Concludo qui questa premessa che, spero, possa invogliare a leggere i testi.

I prossimi temi che vi metterò a disposizione sono, oltre all’Europa e alla UE, “Economia e socialismo”, “Stato e democrazia”, “Partito e ideologia” che sono i capitoli in cui è ripartito il libro curato da Alessandro Vaia.

(Vladimiro Merlin)

1946 – V Congresso

Guerra e pace:

[ … ] Non siamo utopisti. Sappiamo che per eliminare completamente i motivi di guerra bisogna modificare la struttura della società. Sappiamo, però, anche che oggi si può preservare la pace con una politica … che tenda a mantenere l’unità delle grandi nazioni democratiche, che hanno vinto il fascismo e con la loro unità devono ricostruire un’Europa ed un mondo pacifici […]

(dal rapporto di Togliatti)

Italia politica dei blocchi:

[…] Non credo che sia nell’interesse del nostro paese aderire o farsi promotore …. di un blocco di potenze di qualsiasi genere, sia esso mediterraneo o occidentale …. Così pure non comprendo nulla di tutto quello che si dice circa una particolare funzione di “mediazione” che dovrebbe avere il nostro paese tra due blocchi contrastanti, i quali poi non si sa nemmeno quali siano in modo ben definito.

Ritengo che un paese il quale è arrivato al nostro punto di distruzione economica e di sfacelo, non può fare una politica di blocco, perché a qualunque blocco aderisse, sarebbe in questo blocco il vassallo di qualcuno … Gli atti concreti della nostra politica estera devono tendere alla ripresa di rapporti di amicizia con tutti i popoli e prima di tutto con quelli verso i quali abbiamo vincoli di riconoscenza per il contributo che hanno dato alla liberazione di parte del nostro territorio.

Politica estera, quindi, di pace e di collaborazione con le tre grandi potenze che a cui oggi spetta di dirigere l’opera di ricostruzione di un’Europa e di un mondo pacifico alla testa della grande organizzazione delle Nazioni Unite.

Per motivi nazionali ed internazionali respingiamo ogni politica di ostilità verso l’Unione Sovietica ed i suoi popoli e la denunciamo come causa diretta del peggioramento della nostra posizione internazionale […]

[…] Noi non crediamo, però, che l’Italia debba fare una politica di amicizia verso l’Unione Sovietica per motivi ideologici: in genere le ideologie non vengono prese in considerazione quando si tratta di politica estera. Dobbiamo fare una politica di amicizia verso l’Unione Sovietica per motivi nazionali, e per tener fede ad una tradizione nazionale di difesa dei nostri interessi […]

( dal rapporto di Togliatti )

Per la piena riconquista e per la difesa dell’indipendenza nazionale il Partito Comunista propugna una politica estera di pace, di rispetto dei diritti di tutte le nazioni, di organizzata collaborazione con tutti i popoli ed in particolare con quelli confinanti.

Respingendo ogni tentativo di speculare sui dissensi tra le grandi potenze democratiche cui spetta il compito di guidare la riorganizzazione del mondo intero in modo che assicuri a tutti pace e giustizia, l’Italia deve cercare la sua salvezza nella unità di queste grandi potenze. I comunisti, in particolar modo, respingono e denunciano come contrari agli interessi nazionali l’ostilità e gli intrighi contro l’Unione Sovietica che ceti e gruppi reazionari fomentano ad arte. Nei popoli dell’Unione Sovietica gli operai e la parte avanzata dei lavoratori italiani vedono i portatori nel mondo di una nuova civiltà. Il Partito Comunista è contrario ad una politica di “blocchi” di potenze, perché tale politica non potrebbe mettere capo ad altro che all’asservimento diretto o indiretto del nostro paese.

Esso desidera che nel campo economico la collaborazione e gli aiuti indispensabili, e le garanzie che debbono accompagnare questi aiuti, si realizzino in modo che non diminuisca l’indipendenza nazionale e consenta la difesa degli interessi e dei diritti della nostra emigrazione […]

(dalla risoluzione approvata al V Congresso)

1948 – VI Congresso

Imperialismo, sovranità nazionale e politica di pace:

[…] Si pensava, insomma, che un conflitto aperto tra il popolo italiano e le forze di occupazione si dovesse evitare, perché se fosse scoppiato le ripercussioni di esso per tutta l’Europa potevano essere troppo gravi. Certamente vi è stata questa ingenuità in una parte del popolo italiano. Oggi ci siamo avveduti che di fronte a noi stavano non autorità che si preoccupassero di non turbare la causa della pace, ma rappresentanti di potenze imperialistiche, le quali, approfittando delle debolezze del movimento democratico italiano, lo hanno continuamente minacciato e ricattato, per tentare di elevare una barriera allo sviluppo della democrazia nel nostro paese.

Essi sapevano che uno sviluppo conseguente della democrazia italiana avrebbe posto e porrà una barriera ai loro intrighi contro la pace. Essi sapevano che la creazione in Italia di un regime di democrazia nuova , nel quale le classi lavoratrici possano far sentire in modo più diretto la loro voce nella direzione degli affari di tutta la nazione, avrebbe impedito loro, e certamente lo impedirà, di fare del nostro paese il punto di appoggio della loro criminale attività rivolta contro quei paesi dove un regime di nuova democrazia è stato creato, e contro il grande paese del socialismo, contro l’Unione Sovietica.

[…] Oggi deve essere chiaro per tutti cosa significa per l’Italia una minaccia alla pace. Se vi è un paese in Europa, che ha bisogno di pace, se vi è un popolo che da una minaccia è leso nei motivi più elementari della propria esistenza, quel paese, quel popolo, siamo noi.

Guai a noi se l’imperialismo americano dovesse riuscire a realizzare i propri piani strategici facendo entrare nel quadro di essi la collaborazione anche solo passiva del nostro governo e del nostro paese. Sarebbero minacciati tutti i beni che ci siamo conquistati con il lavoro e con la lotta di due o tre generazioni. Sarebbero minacciate la libertà, l’unità, l’esistenza stessa dell’Italia come Stato indipendente.

Per questo l’appello alla lotta per la pace che lanciamo dal nostro Congresso è rivolto non soltanto agli operai, non soltanto ai democratici avanzati, ma a tutti gli italiani i quali hanno a cuore la sorte della loro Patria. Tutti uniti dobbiamo impedire ad ogni costo che un governo conservatore e clericale faccia anche solo i primi passi che possano portare l’Italia ad essere la pedina di un torbido e criminale gioco imperialista.

Non tutti sono in grado di valutare quali potranno essere le conseguenze di questi primi passi. Tutti però sono in grado di comprendere che, fatti i primi passi, sarà impossibile tirarsi indietro ed il popolo verrà trascinato per un piano inclinato sino ad essere stritolato da una macchina infernale messa in movimento indipendentemente dalla sua volontà. Bisogna dire “basta” sin dai primi momenti; e dire “basta” oggi vuol dire rivendicare una politica nazionale di pace dal governo che dirige le sorti della Repubblica Italiana, rivendicare una politica la quale non soltanto non metta l’Italia al servizio di una potenza imperialistica straniera ma faccia aderire il nostro paese a tutte quelle iniziative ed azioni coordinate dai popoli d’Europa per difendere e mantenere la loro indipendenza e la pace.

Questa è la politica che noi rivendichiamo per l’Italia; questa è la sola politica che possa salvare l’avvenire del nostro paese.

(dal rapporto di Togliatti)

[…] L’attuale governo italiano è di fatto uno strumento nelle mani dell’imperialismo americano, il quale mentre dice di voler aiutare l’Italia, in realtà ne minaccia seriamente l’indipendenza, fa pesare sul paese l’incubo dell’intervento armato straniero e la minaccia concreta di essere ancora una volta travolto in una guerra sterminatrice.

Il governo italiano, invece di difendere la dignità nazionale, la sovranità e l’avvenire della nazione, contro le sfacciate dichiarazioni ed attività imperialistiche americane che vanno dall’intervento nella nostra vita economica e politica sino alle minacce di sbarco sulle nostre coste, agisce come servo dello straniero. L’adesione incondizionata data al piano Marshall è l’inizio della trasformazione economica del nostro paese in appendice di una grande potenza imperialistica, e costituisce quindi una minaccia per lo sviluppo autonomo della nostra industria, della nostra agricoltura e dei nostri scambi internazionali.

Di fatto l’Italia viene trascinata, contro la sua volontà, in un blocco di potenze reazionarie, il quale tende a spezzare l’Europa, ad ostacolare i progressi della democrazia, a far rinascere il fascismo, a negare l’indipendenza dei popoli, ad impedire la fraterna collaborazione di tutte le nazioni nella libertà e nel rispetto reciproco, a preparare l’intervento contro le nuove democrazie e contro il paese del socialismo.

Tutto questo è contrario ai più profondi interessi della nazione italiana, che soltanto nella pace e nella libera collaborazione con tutti i popoli d’Europa può trovare la strada della propria rinascita e di una nuova sua affermazione in Europa e nel mondo […]

[…]I comunisti richiamano l’attenzione di tutto il popolo sulla forza imponente del fronte di difesa della pace che comprende Stati e popoli i quali vogliono impedire la guerra dando scacco ai provocatori di guerra imperialisti. Questo fronte comprende la grande, invincibile Unione Sovietica, i paesi di nuova democrazia, le forze operaie, popolari, democratiche d’Europa e del mondo intero.

Il popolo italiano se vuole salvare il proprio avvenire, ha il dovere di combattere anch’esso con tutte le sue forze per la pace, resistendo ai minacciosi piani degli imperialisti americani. La difesa della sovranità dello Stato italiano e dell’indipendenza della nazione italiana si fondano oggi in una sola causa, che deve diventare la causa di tutti i cittadini solleciti per il bene della Patria.

I comunisti propongono al paese una politica estera democratica, la quale solleciti ed organizzi la collaborazione economica e politica con tutti i paesi per la ricostruzione dell’Italia e dell’Europa , ma non permetta né violazione della nostra autonomia e indipendenza né interventi stranieri nella politica italiana , difenda la sovranità dello Stato italiano , respinga ogni preconcetta inimicizia verso i paesi di nuova democrazia e verso l’Unione Sovietica, stabilisca rapporti di fraternità con tutti i paesi confinanti , non consenta la divisione in due dell’Europa, si opponga alla permanenza o alla ricostruzione di focolai di infezione imperialista e fascista […]

(dalle conclusioni di Togliatti)

1951 – VII Congresso

Imperialismo, guerra e pace:

[…] A questa conseguente politica e azione di pace dell’Unione Sovietica si contrappone la posizione imperialistica che è quella in primo luogo dei gruppi dirigenti degli Stati Uniti d’America.

Essa consiste, prima di tutto, nell’affermazione che il modo di vita americano deve essere esteso in tutto il mondo e che gli Stati Uniti d’America lottano con tutti i mezzi, compresi i mezzi militari per raggiungere questo scopo.

Come si vede, questa è la nuova maschera sotto la quale viene nascosta l’aspirazione e la lotta concreta degli imperialisti americani per il dominio del mondo intero.

Essa consiste, in secondo luogo, nel tentativo dei gruppi dirigenti degli Stati Uniti d’America di uscire dalle loro difficoltà economiche, le quali diventano di anno in anno più gravi, intervenendo nella vita di altri paesi, sottoponendo questi paesi al loro controllo e dominio economico.

Di qui il piano Marshall, di qui le misure dirette ad impedire gli scambi tra l’una e l’altra parte dell’Europa, di qui una affannosa corsa all’accumulazione di sempre più favolosi profitti a favore dei capitalisti americani e ai danni di tutti i popoli che vengono assoggettati al loro dominio.

Essa consiste, infine, nell’affermazione mostruosa che ogni progresso sociale, ogni atto il quale stacchi un paese qualunque, in qualsiasi parte del mondo, dalla tradizionale via del capitalismo, limiti i poteri dei gruppi capitalistici e riduca quindi l’area di dominio dell’imperialismo, pone una questione di pace o di guerra, pone cioè la questione di un intervento armato da parte degli Stati Uniti d’America.

Questo è certamente il punto più grave. Qui diventa un abisso l’opposizione tra le due linee, quella socialista che è ragionevole, che tiene conto del punto a cui è arrivata l’evoluzione e apre la possibilità di pace al mondo intero, e quella imperialistica, che condanna il mondo intero a cadere nel baratro della guerra. […]

[…] Il problema della pace, il problema cioè di opporsi attivamente alla politica dei gruppi dominanti dell’imperialismo per salvare, fino a che si è in tempo, la pace del mondo attraverso l’azione dei popoli, diventa il problema più importante di tutti, quello da cui dipende la soluzione di tutti gli altri. E’ partendo da queste constatazioni che nel recente Congresso della Federazione comunista milanese, a nome della Direzione Nazionale del nostro partito, dichiaravo che, riconoscendo la gravità e l’urgenza del compito di salvare la pace del popolo italiano, noi che siamo il più grande partito di opposizione al governo attuale della borghesia italiana, siamo disposti a ritirare la nostra opposizione tanto parlamentare quanto nel paese ad un governo il quale , modificando radicalmente la politica estera dell’Italia, cioè sottraendo l’Italia a quegli impegni che la portano in modo inevitabile verso la guerra, impedisca alla nostra patria di essere trascinata nel vortice di un nuovo conflitto armato. […]

(dal rapporto di Togliatti)

L’alternativa della pace e della guerra domina oggi l’animo di tutti gli uomini, in Italia come nel resto del mondo. A questa alternativa sono collegate tutte le questioni che si presentano alle masse popolari. Il pericolo di un conflitto generale, nel quale può essere coinvolto il nostro paese, si è fatto più grave e minaccioso. Le sconfitte subite dall’imperialismo in Europa ed in Asia, con l’affermarsi sempre più evidente del paese del socialismo, dei paesi di democrazia popolare e con la vittoria della rivoluzione cinese, venuta a compimento tra il 1948 e il 1949, hanno provocato la furiosa reazione dei gruppi dirigenti del capitalismo ed in primo luogo del governo imperialista degli Stati Uniti d’America.

Questa è l’origine vera della guerra d’intervento scatenata contro il popolo coreano e dell’attacco sferrato contro il grande popolo della Cina, con l’occupazione dell’isola di Formosa e con la minaccia armata alle frontiere della Cina stessa.

Questa è l’origine imperialistica di una politica che ha trasformato l’organizzazione delle Nazioni Unite, che avrebbe dovuto essere lo strumento di pace e di collaborazione internazionale, in complice delle mire di espansione e di interventi imperialistico degli Stati Uniti nel mondo intero.

Di qui il provocatorio piano di riarmo della Germania occidentale e la creazione di un esercito cosiddetto “atlantico” agli ordini di generali americani, che impone a tutti i paesi capitalisticiuna marcia accelerata verso il riarmo e la guerra. […]

1956 – VIII Congresso

Le democrazie popolari:

[…] Nei paesi di democrazia popolare dell’Europa orientale i nuovi regimi sorsero in conseguenza della guerra, per il crollo degli ordinamenti reazionari preesistenti e perché la presenza delle truppe sovietiche impedì che si ritornasse indietro, che avvenisse una restaurazione capitalistica di contenuto reazionario. Così i partiti della classe operaia poterono, con l’appoggio del popolo mettersi alla testa di un ampio moto di trasformazione rivoluzionaria delle basi economiche e della struttura politica della società. Fu cambiato il volto di questa parte dell’Europa, che nei venticinque anni precedenti era stata un vespaio di agenzie imperialistiche, di provocatori di guerra e di fascisti. Furono risolti problemi che da secoli attendevano una soluzione, come la distruzione della grande proprietà feudale; furono rapidamente create le basi per la costruzione del socialismo.

[…] Quando, superata bene la prima tappa, di carattere democratico borghese, si iniziava il passaggio alla tappa delle trasformazioni più marcatamente socialiste, fu scatenata la guerra fredda […] Fu in quel momento, probabilmente, che incominciò ad avere il sopravvento l’imitazione servile del modello sovietico nella soluzione dei problemi legati alla costruzione socialista ed alla difesa del nuovo potere. Era il solo modello che si presentasse, d’altra parte; e l’Unione Sovietica era il solo paese che alle nuove democrazie offrisse aiuto ed appoggio, mentre dall’occidente venivano soltanto l’appello alla distruzione dei nuovi regimi ed il sostegno a tutte le forze reazionarie che si muovessero con questo scopo, a qualsiasi mezzo esse facessero ricorso.

La trasposizione meccanica ai nuovi paesi socialisti dei risultati della grande esperienza sovietica, errata in linea di principio, doveva rivelarsi dannosa nella pratica.

[…] La traduzione meccanica di questi esempi sovietici in paesi dove le condizioni erano assai diverse doveva creare difficoltà superflue, asprezze e squilibri pesanti, rendere più stentata l’accumulazione, più lenta l’elevazione del livello di esistenza, ed alla fine far ricadere troppo gravi pesi sulle masse operaie e contadine.

La tendenza a mascherare le difficoltà con ingiustificate misure repressive, giunte fino alla violazione della legalità, aggravava la situazione. Si aggiunga che nei paesi di nuova democrazia non esisteva una avanguardia operaia che fosse paragonabile, per la compattezza, la forza morale, la capacità di lavoro, e l’ampiezza dei collegamenti con le masse, con il partito dei bolscevichi russi.

[…] Le basi democratiche tanto della vita economica quanto di quella politica venivano dunque ristrette.

In questo modo veniva dimenticata quella che è per noi una posizione di principio, la necessità che l’avanzata verso il socialismo si compia e venga dalla classe operaia condotta in modo diverso a seconda delle condizioni e particolarità economiche, politiche, nazionali e culturali di ciascun paese.

[…] L’Unione Sovietica ha fornito sino ad ora un aiuto enorme per lo sviluppo dei paesi socialisti, per superare le loro difficoltà, per costruire fabbriche, per impadronirsi delle conquiste più avanzate della tecnica, sino a quella delle installazioni atomiche più moderne. Se fosse possibile fare un calcolo di questo aiuto si toccherebbero cifre sbalorditive.

[…] Le condizioni sono tali che oggettivamente richiedono e rendono possibile un nuovo slancio e progresso del movimento comunista. Il momento critico che attraversiamo è dunque momento non di revisioni, non di ripensamenti sterili, ma di sviluppi creativi, che ci danno la sicurezza di immancabili nuovi successi […]

 (dal rapporto di Togliatti)

L’Internazionalismo:

[…]Il movimento operaio ha un dovere fondamentale, quello dell’internazionalismo, e l’internazionalismo deve esprimersi con una solidarietà effettiva, non solo tra i partiti che tuttora combattono per giungere al potere, ma anche con quei partiti che già sono al potere e dirigono uno stato. Se non vi è solidarietà internazionale proletaria, non vi può essere giusto orientamento né sulla politica estera, né sulla politica interna.

[…] Abbiamo guidato la classe operaia italiana a porsi alla testa della lotta di liberazione nazionale, a far propria la bandiera dell’indipendenza mentre le classi dirigenti si asservivano allo straniero. Dalla nostra coscienza internazionale di classe non deriva nessun sentimento, nessun dovere, nessuna posizione che possa essere contraria agli interessi della nazione. Anzi è nella lotta per un rinnovamento socialista che la nazione trova le condizioni per una superiore affermazione della sua libertà e sovranità […]

Il socialismo non può mai essere importato dall’esterno; è una trasformazione sociale che deve sgorgare dal lavoro e dalle lotte di tutto il popolo, alla luce sì di una esperienza internazionale, ma sotto la guida delle migliori tradizioni nazionali, e di una dottrina rivoluzionaria, di un’esperienza compiuta dal popolo stesso e il formarsi in esso di una nuova coscienza.

Il movimento comunista deve avere, non solo nazionalmente, ma internazionalmente, una sua unità. […] Ma può essere unità che si crei nella diversità e originalità delle singole esperienze, si alimenti del reciproco spirito critico, si rafforzi nell’autonomia dei singoli partiti. Di questa […] unità abbiamo bisogno. Dobbiamo essere uniti perché abbiamo gli stessi principi e perseguiamo lo stesso scopo finale. […] Dobbiamo essere uniti perché sempre riescono ad unirsi per combatterci con tutte le armi i nemici della classe operaia […]

(dal rapporto di Togliatti)

L’Unione Sovietica:

[…] Si fa scandalo per il nostro attaccamento all’Unione Sovietica per la parte che attribuiamo, nel mondo socialista e nel movimento comunista internazionale, a questo paese ed al partito che lo dirige. […] Abbiamo detto, e nessuno ha nemmeno tentato di affrontare seriamente la questione, che il nostro attaccamento all’Unione Sovietica deriva dal fatto che nei momenti decisivi della storia […], dall’Unione Sovietica vennero le indicazioni e l’esempio di una azione che poneva e risolveva in odo giusto questioni che erano di vita o di morte per il movimento operaio e democratico.

Nell’Unione Sovietica è stata spezzata per la prima volta la catena del capitalismo e per trentanove anni si è lavorato a costruire una società nuova. Questa società esiste, è il primo grande modello di organizzazione socialista, è una società che si sviluppa secondo leggi nuove che non sono più quelle del profitto e dello sfruttamento, ma di un progresso produttivo, tecnico e di cultura, che serve ad elevare il benessere di tutti.

[…]

È stata la Rivoluzione d’Ottobre che ha aperto a tutti la strada verso il socialismo. È stata la costruzione socialista sovietica che ha dato anima e slancio a tutto il movimento operaio. Sono state le vittorie dell’Unione Sovietica che hanno permesso di schiacciare il fascismo, che hanno determinato il crollo del regime coloniale, la formazione di nuovi stati liberi nell’Asia e nell’Africa.

[…] dei trentanove anni che ci separano dalla rivoluzione d’Ottobre, diciotto sono stati per l’Unione sovietica anni di guerra o dedicati alla riparazione urgente dei danni lasciati dalle guerre.

[…] Grandissimi furono gli aiuti forniti agli altri stati, che dopo la seconda guerra mondiale si posero sulla via del socialismo. La costruzione di una industria socialista e il progresso dell’agricoltura richiesero investimenti colossali, e questi dovettero essere ricavati tutti da una accumulazione interna, il cui peso ricadeva sulla classe operaia, prima di tutto.

[…] Tutto questo deve essere sempre tenuto presente, per apprezzare appieno il valore delle vittorie ottenute, comprendere i sacrifici che esse sono costate e quindi esprimere il giudizio sul sistema [… ] Abbiamo discusso con i compagni sovietici, apertamente, del carattere di q questi mali , da noi indicati come deformazioni di alcune parti dell’organizzazione della società socialista; abbiamo cercato di contribuire alla valutazione del loro peso e dell’origine loro.

[…] Io continuo ad essere convinto che la ricerca deve particolarmente essere volta a mettere in luce i rapporti, i contrasti e la reciproca influenza tra gli sviluppi economici e le sovrastrutture politiche, di cui fa parte anche il modo della direzione politica più elevata. Quando l’evoluzione della base economica era già arrivata ad un punto che sentiva ed esigeva un’estensione della vita democratica, questa non venne attuata, e si ebbero invece restrizioni e chiusure artificiali.

[…] A noi spetta conoscere le cose e studiarle prima di giudicarle. Spetta conoscere meglio anche l’Unione Sovietica, oltre che i paesi di democrazia popolare e la grande repubblica cinese e farli conoscere meglio da tutto il nostro movimento. Non nascondere le difficoltà e i problemi dell’edificazione socialista. Non tacere dei sacrifici che essa può costare.

Questo ci permetterà di meglio respingere le false argomentazioni dell’avversario e del nemico, di apprezzare pienamente il valore di quanto nell’Unione Sovietica è stato realizzato ed il merito storico che spetta al Partito Comunista dell’Unione Sovietica e ai suoi dirigenti, che per primi, senza avere davanti a sé alcun esempio cui ispirarsi, affrontarono i problemi pratici del socialismo , che nessuno mai si era posti, e riuscirono a risolverli, guidando popoli interi per vie che mai erano state battute.

[…]

(dal rapporto di Togliatti)

Dalla Dichiarazione Programmatica:

[…] Il peculiare carattere della rivoluzione d’Ottobre e le forme assunte dal potere della classe operaia nell’Unione Sovietica sono state il prodotto delle condizioni storiche in cui questi grandi eventi si sono realizzati. La violenza rivoluzionaria e la temporanea limitazione di alcuni diritti democratici si imposero come una necessità per spezzare la resistenza delle classi reazionarie e dei loro partiti, per uscire dalla guerra imperialista e dare a tutto il popolo la libertà e la pace, per trionfare nella guerra civile e respingere l’intervento straniero organizzato dai governi imperialisti e fomentato dai nemici interni, per guidare la ricostruzione economica nelle città e nelle campagne […] La costruzione dell’economia socialista fu condizionata dalla situazione del paese , dove il capitalismo non era ancora altamente sviluppato e avevano un grandissimo peso gli ordinamenti feudali e coloniali, e che fu per quasi trent’anni isolato nel mondo che l’imperialismo ancora dominava […]

Dalla Dichiarazione Programmatica:

La vittoria della rivoluzione d’Ottobre e la costruzione del socialismo in Unione Sovietica hanno determinato un radicale progresso della coscienza socialista nelle masse operaie e popolari di tutti i paesi […]

Ciò è avvenuto anche perché la socialdemocrazia, dopo il fallimento ed il crollo della Seconda Internazionale allo scoppio della prima guerra mondiale, nel periodo tra le due guerre non riuscì a condurre alcuna azione che portasse a mutare le basi dell’ordinamento sociale; collaborò con i partiti borghesi per difendere e rafforzare il potere della borghesia; […] mantenne divise le forze operaie e popolari anche di fronte all’attacco del fascismo.

L’esempio delle vittorie riportate dai comunisti in Unione Sovietica dette inizio ad una restaurazione e a uno sviluppo nel movimento operaio della dottrina rivoluzionaria del marxismo, spinse le avanguardie della classe operaia a dare vita ai partiti comunisti […]

(dai Partiti comunisti) È stata proclamata sempre la fondamentale esigenza che i comunisti sappiano essere in tutte le condizioni alla testa di tutte le lotte delle classi lavoratrici per le loro rivendicazioni economiche e politiche. È stata svolta un’azione continua per realizzare, in queste lotte, l’unità delle forze operaie e lavoratrici contro le classi possidenti conservatrici e reazionarie.

[…] È stato concentrato il fuoco contro l’imperialismo e il colonialismo, è stata combattuta ogni minaccia alla pace e all’indipendenza dei popoli.

[…] I comunisti hanno sempre sottolineato che nella lotta per il socialismo la questione decisiva è la questione del potere politico, perché non è possibile la costruzione di una società socialista se il potere politico non viene tolto ai gruppi dirigenti del capitalismo monopolistico e non passa alla classe operaia e alle classi lavoratrici alleate della classe operaia.

Lo sviluppo delle lotte politiche aveva già dimostrato, nel periodo tra le due guerre, che potevano presentarsi situazioni nuove, diverse da quella che era stata davanti al proletariato russo nel 1917, e poteva quindi porsi e venire risolto in modo diverso il problema del potere, in relazione con la disposizione delle forze di classe e con gli obiettivi della lotta da condursi per la democrazia e la pace […]

1960 – IX Congresso

Imperialismo, guerra e pace:

[…] L’esistenza e la forza del sistema degli Stati socialisti è prima di tutto soltanto garanzia di pace e indipendenza per tutti i popoli. Per questo noi abbiamo constatato e affermato al XX Congresso che le forze che agiscono per difendere la pace sono diventate così grandi che la guerra non è più inevitabile. […] Oggi sono diventate tali la potenza e l’autorità dell’Unione Sovietica e dei paesi socialisti per cui già si può affermare che essi sono in grado di impedire ai gruppi dirigenti imperialisti di scatenare un nuovo conflitto mondiale.

[…] Ma qui si affaccia un problema di dottrina. Noi sappiamo che il capitalismo, nell’attuale fase del suo sviluppo e per le leggi stesse della sua evoluzione, diventa imperialismo. E imperialismo vuol dire sforzo per dominare il mondo con l’impiego della forza e della violenza. Per questo la guerra è connaturale all’imperialismo. […] Per questo l’epoca dell’imperialismo è stata un seguito quasi ininterrotto di guerre, di cui due estese a tutto il mondo. L’imperialismo può dunque cambiare natura? Certamente non si tratta di questo, ma del fatto che esso viene stretto in una situazione da cui non può uscire col vecchio metodo della violenza e dello sterminio guerresco e questo apre nel suo seno una nuova, profondissima, decisiva contraddizione […]

Il disarmo generale e totale, la messa al bando e la distruzione di tutte le armi atomiche […] sono quindi il necessario punto di partenza. L’attuazione di queste misure è la sola vera sicurezza di pace.

[…] Oggi, l’installazione di armi atomiche americane di sterminio a distanza, che hanno carattere puramente aggressivo […] fa dell’Italia un bastione forse destinato a proteggere altri paesi, certo destinato, in caso di catastrofe, ad una distruzione completa. Aggiungiamo che il rigido agganciamento della politica estera italiana a quella delle grandi potenze imperialiste e colonialiste, ha seriamente compromesso i nostri collegamenti e il nostro prestigio presso i popoli arabi del Mediterraneo e presso tutti i popoli che stanno scuotendo il giogo coloniale […]

Blocchi militari e “Occidente europeo”

[…] Il nostro Risorgimento fu una rivolta contro l’asservimento cui le politiche europee avevano ridotto la nostra patria, fossero esse politiche di espansione, di forzata unità o di equilibrio fittizio.

La forzata adesione all’europeismo reazionario di marca hitleriana ci ha già portati una volta alla rovina. Oggi il vero problema sta nel vedere quale posizione e quale destino tocchi alle nazioni dell’Occidente europeo nel momento in cui due centri di formidabile militare esistono ai due estremi: da un lato gli Stati Uniti d’America, dall’altro lato l’Unione Sovietica. […] Accettare di essere l’appendice dell’uno o dell’altro dei due colossi è la fine del principio di indipendenza. La ricerca di una via d’uscita […] deve essere orientata verso l’avvenire, verso l’abbandono di una politica fondata sulla forza o sul “deterrente”, verso il disarmo generale, verso la coesistenza pacifica.

[…] Soltanto muovendosi su questa linea l’Occidente europeo può riacquistare una sua funzione di progresso e di civiltà. Altrimenti mi sembra difficile evitare che si accentuino il decadimento politico e la degenerazione, che gli istituti democratici non resistano all’attacco dei gruppi più reazionari e sciovinisti, che rialzino la testa il razzismo e il fascismo e si abbiano dolorose lacerazioni. […]

(dal rapporto di Togliatti)

1962 – X Congresso

La coesistenza pacifica:

[…] Ora, nel trattare il problema della pace e della guerra , il marxismo, che parte sempre dall’esame della realtà, non può prescindere dal fatto che la scoperta e la diffusione generale delle armi nucleari è un mutamento di ordine qualitativo del carattere delle armi e ciò significa che anche la guerra , ove sia combattuta con queste armi diventa cosa qualitativamente diversa da ciò che era prima.[…] Una guerra di difesa contro un aggressore che minacci la libertà e l’indipendenza di un popolo è sempre giusta. Guai se la classe operaia, dove è al potere e ha di fronte a sé un imperialismo prepotente ed aggressivo, non si procurasse o non fosse pronta a porre in atto tutti i mezzi necessari per respingere e ritorcere qualsiasi aggressione. Anche per quanto riguarda le armi nucleari, quindi, un paese socialista è obbligato, anche se ciò gli costa enormi sacrifici, a mantenersi al livello dei suoi avversari. […] E ove sia ben chiaro che la guerra nucleare è un suicidio per tutte e due le parti, si può ammettere che il suicidio collettivo di due contendenti sia cosa giusta, ragionevole?

La contrapposizione di armamento ad armamento non è, dunque, una soluzione. Non è una soluzione l’equilibrio del terrore, sul quale determinati circoli dirigenti dell’imperialismo […] affermano che dovrebbero essere fondate in modo permanente le relazioni tra le più grandi potenze.

[…] La soluzione si trova nella direzione opposta, cioè in un tale nuovo sistema di relazioni internazionali per cui gli arsenali atomici siano messi in disparte, eliminati, distrutti […]

Ciò non si può raggiungere se non con una radicale distensione dei rapporti internazionali, quale corrisponde all’accettazione generale del principio della coesistenza fra tutti gli Stati e tutti i popoli, qualunque sia il loro regime politico o sociale, qualunque sia il loro grado di sviluppo economico e civile.

[…] La guerra – si dice, ed è questo il punto di partenza di tutta la polemica – non può essere evitata, perché ciò vorrebbe dire che è cambiata la natura dell’imperialismo, il che non è avvenuto e non può avvenire. Non si tratta però, diciamo noi, della natura dell’imperialismo. Si tratta del rapporto di forze internazionali dell’esistenza, del consolidamento e del rafforzamento continuo del sistema degli Stati socialisti […] L’esistenza di un forte gruppo di Stati non impegnati in nessun blocco e favorevoli a una politica di pace accentua questa nuova caratteristica della situazione […]

Né si può dire che tutto il campo dell’imperialismo sia unito.

È ben chiaro, per noi, che un grande paese di capitalismo sviluppato come l’Italia […] cesserebbe di fare una politica imperialista soltanto il giorno in cui vi si instaurasse un regime di democrazia rinnovata, progressiva, ma è altrettanto chiaro che un potente movimento delle masse e dell’opinione pubblica può, anche prima di tale trasformazione riuscire ad imporre determinate misuri favorevoli a una distensione dei rapporti internazionali […]

La pacifica convivenza è un assetto diverso delle relazioni fra gli Stati, fondato sulla comprensione reciproca, sulla fiducia e su una competizione che esclude la guerra; fondato su una piena garanzia e indipendenza di tutti i popoli e, quindi, su una ragionevole soluzione dei problemi che oggi tuttora sono aperti, che danno origine ad una frizione e ad urti continui.

[…] Ritengo sia assurdo accusare di tradimento della dottrina marxista e della causa rivoluzionaria, tacciare di opportunismo, di revisionismo e persino di viltà di fronte al nemico chi sostenga che questo deve essere, nelle grandi linee, il programma di politica internazionale dei comunisti nel momento presente. […]

(dal rapporto di Togliatti)

A proposito di equidistanza:

[…] Vi è una tendenza della maggioranza del PSI a staccarsi dai principi dell’internazionalismo proletario, ad accedere ad una analisi sbagliata della attuale struttura del mondo, a collocarsi in una posizione “equidistante” fra mondo imperialista e mondo socialista  ( che è cosa ben diversa dal perseguire una politica di neutralità e di superamento dei blocchi contrapposti ) , a smarrire il contenuto antimperialista che oggi non può non essere proprio di ogni lotta democratica e socialista […]

(dalle Tesi approvate)

1966 – XI Congresso

 Atlantismo e sovranità nazionale

[…] Nessuna forza di sinistra può accettare o subire i punti cardine del programma che la direzione democristiana vorrebbe ora imporre agli altri partiti del centrosinistra.

Il primo di questi punti è l’atlantismo, cioè la fedeltà atlantica che è la negazione di ogni autonoma iniziativa italiana nel campo della politica internazionale. Il secondo di questi punti è il tentativo di trasformare l’atlantismo in dottrina di Stato. […]

(dalle conclusioni di Longo)

La politica delle socialdemocrazie:

[…] Bisogna portare la lotta contro la socialdemocratizzazione a tutti i livelli. […]

Se qualcosa, sul piano europeo, caratterizza in questo momento la socialdemocrazia è la sua assenza dal grande movimento di opinione e di lotta per la fine dell’aggressione americana al Vietnam e per la pace. Con la sola eccezione dei paesi scandinavi non una parola è venuta, in questa direzione, da quelli che sono i grandi partiti socialdemocratici dell’Europa occidentale.

[…] e’ dunque in questo contesto internazionale che il Partito Socialista dovrebbe andarsi a collocare con l’unificazione socialdemocratica: nel contesto di una socialdemocrazia che è sempre più conservatrice, e nemmeno capace di dire, almeno sul problema della pace, una parola propria e precisa. Questo vuoto politico e ideale, di cui la Carta di Francoforte, con il suo oltranzismo da guerra fredda, è l’espressione più sintomatica, è in contrasto profondo con tutta la tradizione del movimento socialista italiano. Ed è difficile vedere come questa contraddizione possa essere superata senza una totale capitolazione dei socialisti […]

(dalle conclusioni di Longo)

Unità nella diversità:

[…] Anche in futuro noi continueremo ad operare perché si affermi nel nostro movimento, l’unità nella diversità, come ci indicò Togliatti, perché si sviluppi l’unità d’azione nelle grandi lotte che ci stanno di fronte, per sconfiggere l’aggressività imperialistica e far trionfare una politica di pacifica coesistenza, di cui tutti i popoli siano protagonisti e beneficiari, una politica che permetta ad ogni popolo di scegliere liberamente il proprio destino. […]

(dalla relazione di Longo)

1969 – XII Congresso

Italia, Europa e Blocchi militari

[…] Le spese militari dei paesi del Patto atlantico hanno già raggiunto i cento miliardi di dollari all’anno, 65000 miliardi di lire, ma si pensa di dilatarle ancora. Si è nel mezzo di una spirale di cui non si vede la fine e da cui l’Italia deve cercare di uscire di uscire fuori al più presto. Interesse dell’Italia è di salvare la propria sicurezza e la propria pace, di destinare le proprie risorse al suo rinnovamento e al suo progresso: di operare con coerenza perché soluzioni di pace prevalgano nel Mediterraneo, in Europa e in tutto il mondo. […]

Non è nell’appartenenza ad un blocco militare che l’Italia può trovare la propria sicurezza.

[…] Il popolo italiano una nuova guerra non la vuole combattere e non la combatterà. Qualora lo si volesse trascinare – per il meccanismo della NATO, contro la sua volontà, e in violazione delle norme costituzionali – in una guerra aggressiva, esso utilizzerà tutte le armi per rovesciare il regime che intendesse portarlo allo sterminio.

E’ questa volontà di pace e di emancipazione che ci guida nel chiedere che le basi NATO se ne vadano dall’Italia e che l’Italia se ne esca dalla NATO. […]

(dalla relazione di Longo)

Internazionalismo e paesi socialisti:

[…] La solidarietà che ci unisce a tutti i popoli dei paesi socialisti – e innanzitutto ai popoli sovietici che, per primi, hanno aperto al mondo la strada del socialismo – è vera e profonda, proprio perché non si tratta di solidarietà acritica e formale. Questa solidarietà non significa e non può evidentemente significare identificazione nostra con le scelte che ogni paese socialista e, più in generale ogni partito comunista e operaio ha compiuto e compie nella propria responsabilità e di fronte ai propri problemi specifici, ma parte da una nostra piena autonomia di giudizio sulle esperienze che i vari paesi socialisti hanno compiuto e vanno compiendo. […]

(dalla relazione di Longo)

Dalle conclusioni di Berlinguer:

[…] Tutta l’esperienza del movimento operaio dimostra che l’abbandono dell’internazionalismo, l’antisovietismo, portano inevitabilmente un partito operaio alla capitolazione di tipo socialdemocratico, allo smarrimento di una prospettiva rivoluzionaria. Noi non seguiremo il percorso intrapreso da Nenni a partire dal 1956. La questione è ben diversa, ed è quella di una riconferma e di un rilancio dell’internazionalismo, nel solo modo in cui oggi tale riconferma e tale rilancio appaiono possibili: e cioè su basi aggiornate e nuove, in forme e con contenuti nuovi […]

Coerentemente con una tale aspirazione noi pensiamo che, nel confronto con i problemi del mondo socialista – e della democrazia socialista – si debba, prima di tutto, muovere dalla realtà dei paesi socialisti, così come essa è, per intenderla e definirla oggettivamente, cogliendone in pari tempo anche gli elementi di contraddizione e dinamici.

Una tale conoscenza è sempre – in tutti i casi – la condizione prima di ogni condotta politica che non voglia essere sterile e velleitaria. Sarebbe davvero singolare che il marxismo, sorto oltre cento anni or sono come superamento di ogni visione utopistica del socialismo, proprio nel giudizio sulla realtà della società sovietica e socialista ricadesse in atteggiamenti utopistici.

[…] Che succo c’è – avrebbe detto il Machiavelli – a discutere di “Repubbliche e Principati che non si sono mai visti né riconosciuti essere in vero”?

[…] Vi è una continuità storica, mondiale, della Rivoluzione d’ Ottobre, che si ritrova nella costruzione del socialismo in Unione Sovietica e nella trasformazione  – su basi socialiste – di altri paesi, su scala mondiale. Tale continuità – nonostante contraddizioni ed errori – si è espressa non solo nelle trasformazioni strutturali che hanno rivoluzionato più di un terzo dell’umanità, ma anche, al tempo stesso, nella funzione che l’Unione Sovietica e i paesi socialisti hanno assolto ed assolvono nella lotta contro l’imperialismo, il fascismo, la reazione nella lotta per la pace, per l’indipendenza dei popoli, la democrazia ed il socialismo.

È la consapevolezza di tale realtà, di tale funzione, che ci ha portati a schierarci, sempre, nella lotta antifascista, democratica e socialista, dalla parte della Rivoluzione d’Ottobre. Perciò noi abbiamo sempre respinto e respingiamo l’antisovietismo in tutte le forme in cui esso si presenti.

In pari tempo – come il compagno Longo ha detto – riconfermiamo in questo congresso che noi lottiamo in Italia per il socialismo, non guardando ad un astratto modello, né al modello sovietico (modello del resto irripetibile […]), bensì lungo una via originale. E, dunque, come ha detto il compagno Longo, lottiamo per un’Italia socialista profondamente nuova, diversa, rispetto alle società socialiste fino ad ora realizzate. […]

Attorno alla lotta di liberazione del Vietnam, proprio in virtù di questi suoi caratteri, e proprio in virtù della piena autonomia che i compagni vietnamiti ed il popolo del Vietnam hanno affermato, si è realizzata una unità di tutte le forze del movimento comunista, operaio e democratico internazionale: si è realizzata una unità d’azione contro un comune nemico.

[…] Ed è merito dell’Unione Sovietica e di tutti i paesi socialisti l’avere dato e dare un aiuto politico, materiale, militare, morale – con sacrifici di ogni natura, generosamente sopportati dai sovietici e dagli altri paesi socialisti – un aiuto che è stato ed è di importanza essenziale, e per il quale tutta l’umanità progressista non può che essere riconoscente.

L’unità d’azione è il primo passo per ricostruire l’unità a più alti livelli. Noi abbiamo sentito e sentiamo come nostro dovere l’impegno nella lotta internazionale per i comuni obiettivi, per i comuni ideali. Tale impegno noi ricaviamo dalle tradizioni del nostro popolo, dal suo spirito internazionalista, dalla Resistenza. […]

Certo, l’unità d’azione non è tutto. L’unità deve essere perseguita anche a livelli più alti. Per tale scopo, sembra a noi necessario instaurare tra i partiti comunisti e operai, tra le forze antimperialistiche e di liberazione, un metodo, un sistema di rapporti, che siano tali da evitare che si vada a rotture, ed anzi favoriscano una progressiva unificazione nell’azione politica e nell’elaborazione […]

Il nostro movimento, oggi, è vasto: ha raggiunto una effettiva dimensione universale. […]

Noi dobbiamo comprendere bene una tale realtà, la novità della situazione. E, mi sembra, comprendere bene ciò vuol dire non solo rinnovare metodi, sistemi di rapporti vecchi e superati; ma anche rinnovare per molti aspetti i contenuti stessi dell’internazionalismo. […]

Dilatati, come sono oggi, i confini del movimento e del campo della lotta – quanto più pressante si fa la necessità di una radicale trasformazione della società per soddisfare i bisogni e le aspirazioni di benessere e di libertà di tutti gli uomini e di tutti i popoli – noi compagni sbaglieremmo se ci chiudessimo nella visione, non dico del nostro paese, ma anche di quella parte dell’Europa e del mondo che è formata dai paesi di capitalismo maturo. La classe operaia del nostro paese e delle regioni d’Europa e del mondo di capitalismo maturo romperà veramente ogni angustia corporativa, ogni limite socialdemocratico, quando pienamente saprà collegare nella propria coscienza di classe e politica, nella propria azione, le lotte dirette contro il padronato e il potere capitalistico del proprio paese, alle lotte di liberazione di tutti i popoli oppressi e sfruttati. […]

L’Italia e la NATO:

Le proposte che il compagno Longo ha avanzato nel suo rapporto ( la non appartenenza a nessun blocco militare, quindi l’uscita della NATO dall’Italia e dell’Italia dalla NATO, il conseguimento di uno stato di neutralità, un’azione precisa per il graduale e bilanciato superamento dei blocchi, la sicurezza europea, il disarmo, la trasformazione del Mediterraneo in un mare di pace ), queste proposte – e la linea che esse nell’insieme postulano – corrispondono agli interessi nazionali, che sono interessi di sicurezza e di pace, e sono ispirate a una nuova visione della funzione dell’Italia in Europa e nel mondo […]

(dalle conclusioni di Berlinguer)

1972 – XIII Congresso

Italia Europea e Blocchi militari:

[…] La questione stessa – decisiva – del superamento del vincolo di subordinazione che lega il nostro paese alla NATO non si riduce ad un semplice pronunciamento pro o contro il patto militare. La lotta contro i Patto Atlantico avrà invece una efficacia tanto maggiore quanto più si identificherà con un moto generale di affrancamento dell’Europa dall’egemonia americana e di superamento graduale, fino alla liquidazione, dei blocchi contrapposti […]

(dalla relazione di Berlinguer)

 Internazionalismo e via nazionale:

[…] Certo, il socialismo che noi ci proponiamo di costruire in Italia non vuole ricopiare alcuno dei modelli esistenti, i quali derivano da vicende storiche ben determinate e si riferiscono a situazioni economiche, sociali, culturali assai lontane dalle nostre. Il socialismo che noi vogliamo deve essere quello che la classe operaia e il popolo nostro vorranno che sia […]

[…] Perciò noi possiamo parlare di una nostra visione della società socialista, perché questo non è un modello di società perfetta progettato a tavolino, ma è una costruzione storica, le cui basi risiedono già in un grande patrimonio politico, culturale e morale accumulato nei decenni e nelle concrete espressioni di un possente movimento di emancipazione, alla cui testa noi siamo stati e rimaniamo. […]

Qualcuno ci chiede, però, di provare la nostra autonomia con la rottura della solidarietà nei confronti dei paesi socialisti e di tutto il movimento operaio e rivoluzionario mondiale. Questa strada non la seguiamo e non la seguiremo mai.

E non la seguiamo anche perché questa sarebbe una prova non di autonomia ma di dipendenza e di subalternità. Non esiste una terra di nessuno nella grande arena della lotta di classe. Se noi abbandonassimo il terreno della solidarietà internazionalista, che comporta anche la critica fraterna, per porci su quello della rottura, noi perderemmo la nostra autonomia per accodarci allo schieramento delle forze più retrive e reazionarie del nostro paese e del mondo intero: in ogni caso perderemmo la natura di un Partito comunista per acquisire quella di una forza socialdemocratica, o faremmo la fine di certi gruppi, il cui antisovietismo non a caso è vezzeggiato nei salotti borghesi e propagandato dalla stampa dei padroni […]

(dalla relazione di Berlinguer)

Il socialismo e l’Europa:

[…] Il segretario del PLI ha affermato che “i comunisti vorrebbero portare l’Italia fuori dall’Occidente”. No, noi vogliamo portare l’Italia fuori dalla subordinazione a cui è stata costretta dalle classi dominanti nei confronti di un imperialismo straniero. Vogliamo restituire all’Italia la sua indipendenza, la sua sovranità, la sua sicurezza, e ciò per dare all’Italia il ruolo di una grande e libera nazione dell’Occidente, impegnata in un’opera di respiro europeo e mondiale.

[…] Infine noi sentiamo che è necessario andare in tutta l’Europa a un profondo rinnovamento, nella direzione del socialismo. È questa una società vitale per il nostro paese, e per gli altri paesi dell’Europa occidentale.

Il socialismo è una realtà mondiale, una realtà in sviluppo, una realtà che si esprime in lotte grandiose, che si esprime in grandi conquiste, a cominciare da quelle che si realizzano […] nella grande Unione Sovietica, e in tutti i paesi socialisti, senza eccezione.

[…] Ebbene la realtà del socialismo e dell’avanzata verso il socialismo si deve esprimere anche nel capitolo che è chiamato ad aprire il movimento operaio dell’Europa e, più in generale, in tutti i paesi del capitalismo avanzato.

[…] La classe operaia può divenire forza egemone in ogni singolo paese e nell’insieme dell’Europa se la sua azione acquista un respiro europeo e mondiale, e se si collega con i movimenti dei popoli oppressi. I socialdemocratici europei hanno davvero dimenticato il grande motto di Marx: non può essere libero un popolo che opprime un altro popolo […]

(dalle conclusioni di Berlinguer)

1975 – XIV Congresso

Coesistenza pacifica e cooperazione:

[…] La lotta per un effettivo sistema di coesistenza pacifica e di cooperazione è la sola che può consentire di evitare il disastro della guerra atomica, di spezzare la logica progressiva e catastrofica dell’odierno imperialismo e di aprire una strada che utilizzi tutte le risorse materiali ed umane e tutte le conquiste e possibilità della scienza e della tecnica […] al servizio dello sviluppo economico e civile di tutti i popoli del mondo intero […]

Intanto nel mondo di oggi vi è la grande realtà rappresentata dall’Unione Sovietica, degli altri paesi socialisti e dalla loro ferma e tenace azione e difesa della pace […]

Saldi fattori oggettivi e forze crescenti stanno dunque a fondamento della necessità e possibilità della distensione internazionale

[…] E in effetti, dal 1953 in poi, la tendenza che ha prevalso è quella che porta, sia pure in modi tortuosi e superando momenti di crisi acutissime, verso la distensione e la coesistenza.

[…] Ma se non può esser dubbio che la cooperazione è la sola via per evitare queste tragedie, dobbiamo avere anche ben chiaro che raggiungere l’obiettivo di un sistema mondiale di cooperazione è tutt’altro che facile. Esso richiede una lotta ardua e complessa perché si tratta di sconfiggere interessi gretti e ristretti ma assai potenti che vi si oppongono e lo contrastano secondo la logica intrinseca ai meccanismi dell’imperialismo e del capitalismo attuali. […]

Oggi il nostro discorso si allarga: nessuna politica è valida, nessun avanzamento e rinnovamento è possibile in Occidente, se non contiene in sé la soluzione dei problemi del Terzo e del Quarto mondo. […]

(dalla relazione di Berlinguer)

Italia e Patto Atlantico:

[…] Non risponde agli interessi e alle aspirazioni più profonde delle masse lavoratrici e dell’intera nazione collocarsi in una posizione di ostilità verso l’Unione Sovietica o verso gli Stati Uniti. E’ anche per questo che abbiamo affermato che noi non poniamo la questione dell’uscita dell’Italia dal Patto Atlantico, in quanto questa eventualità , e ogni altra uscita unilaterale dall’uno o dall’altro blocco, in una situazione come quella europea non solo non sono effettuabili , ma finirebbero per ostacolare o persino rovesciare quel processo di distensione internazionale che si presenta concretamente come la sola via attraverso la quale si possa giungere al graduale superamento dei blocchi stessi.

Sul piano interno, poi, porre come pregiudizio l’obiettivo dell’uscita dal Patto Atlantico significherebbe riaprire un solco tra le forze popolari e democratiche del nostro paese e quindi, anche sotto questo profilo, si avrebbe un indebolimento, invece che un allargamento ed un rafforzamento, divenuti ormai indispensabili, delle basi di massa ed unitarie dello Stato democratico italiano e, quindi della sua effettiva indipendenza e sovranità. […]

(dalla relazione di Berlinguer)

L’internazionalismo:

[…] Il movimento operaio e il nostro partito hanno salde tradizioni internazionalistiche alle quali intendiamo rimanere fedeli. Nessuno pensi che possano trovare presso di noi un qualche accoglimento sollecitazioni o esortazioni a rompere con i principi e la pratica dell’internazionalismo proletario, a ritrarci da quella linea di solidarietà e di lotte comuni con tutte le forze operaie, socialiste e rivoluzionarie di ogni parte del mondo […] e intendiamo proseguire per nostra libera scelta e nella pienezza della nostra autonomia. In questi ultimi anni le nostre relazioni internazionali si sono ulteriormente sviluppate ed estese, non solo con i partiti comunisti, ma anche con altre forze del movimento operaio e socialista occidentale e con movimenti di liberazioni e governi dei paesi del Terzo mondo. […]

 (dalla relazione di Berlinguer)

Dalla Risoluzione conclusiva:

[…] In questa linea di partecipazione, di stimolo responsabile nella direzione del cambiamento, del superamento della logica e dell’organizzazione dei blocchi, della costruzione di nuovi equilibri e di nuovi rapporti che favoriscano la pace, la cooperazione e l’integrazione internazionale, si afferma e si garantisce l’indipendenza, la sicurezza e l’avvenire del nostro paese; si difende la funzione, il peso, l’autonomia dell’Europa occidentale.

Per agevolare e stimolare queste prospettive il PCI riafferma di non porre il problema dell’uscita dell’Italia dal Patto Atlantico, in coerenza ad una impostazione che mira a favorire la distensione e a coinvolgere in questo processo forze assai ampie così da realizzare in concreto un graduale svuotamento dei blocchi e la loro dissoluzione. Ribadiamo per questo il rilievo decisivo del problema dell’Europa: obiettivi essenziali sono la realizzazione di intese e di accordi per misure di disarmo , per la sicurezza e la cooperazione paneuropea: la democratizzazione della Comunità economica europea, la sua unità e autonomia nei confronti degli USA e dell’URSS e la sua attiva partecipazione al dialogo tra le due maggiori potenze, la ricerca di un rapporto nuovo e di amicizia e di cooperazione con i paesi del Terzo mondo , e in particolare dell’area mediterranea. […]

1979 – XV Congresso

Imperialismo, guerra e pace:

Si prolunga e si aggrava la crisi storica del sistema capitalistico e imperialistico. Il mutamento della struttura del mondo, dopo la rottura rivoluzionaria dell’Ottobre sovietico, è proseguito con la costruzione di società socialiste o di indirizzo socialista in altri paesi di diversi continenti, e si è sviluppato con il grandioso moto di liberazione dall’oppressione colonialista. Anche in molti paesi capitalistici le lotte del movimento operaio hanno realizzato importanti conquiste sul piano economico e sociale e sul piano politico. Fra i grandi eventi della realtà contemporanea ha assunto un rilievo particolare il risveglio delle masse femminili che rivendicano la loro piena emancipazione e liberazione da secolari servitù.

Ma accanita è la resistenza e il contrattacco di tutte le forze che vedono intaccati o minacciati i loro privilegi e le loro posizioni di dominio su scala nazionale e internazionale. […]

(Tesi n. 2)

Il mondo si trova di fronte a problemi e ad alternative drammatiche. La guerra non è inevitabile. Le forze progressive e di pace sono state capaci finora di evitare un nuovo conflitto mondiale. Ma conflitti militari sono in atto e possono esplodere in diverse aree. L’intera umanità vive sotto l’incubo di una corsa agli armamenti che continua e che rappresenta un inaudito spreco di risorse. Resta la minaccia di una guerra atomica distruttiva delle condizioni stesse dell’esistenza degli uomini. Il logoramento del processo di distensione appare preoccupante.  Concreti pericoli per la pace mondiale si vengono riaffacciando.

Decine di paesi hanno raggiunto l’indipendenza politica. Ma si aggrava in modo pauroso ed esplosivo il divario tra le condizioni economiche, sociali e civili delle aree più sviluppate e quelle delle vaste aree arretrate, segnate dalla povertà, dalla fame, da un pauroso squilibrio tra crescita demografica e grado di sviluppo economico. […]

All’interno dei vari paesi capitalistici più sviluppati pur essendo relativamente più elevato il livello materiale di esistenza di una parte delle classi lavoratrici, si aggravano fenomeni quali la disoccupazione, l’emarginazione sociale, la violenza, la criminalità, l’uso della droga. […]

(Tesi n. 3)

L’internazionalismo:

Il PCI sollecita e si propone di contribuire all’affermarsi di una solidarietà e di un impegno internazionalista che vada oltre i partiti comunisti. Oggi, infatti, il processo rivoluzionario mondiale vede in campo movimenti e correnti di emancipazione assai vasti e diversi. La solidarietà e l’impegno comune di queste forze sono necessari. […]

Non sono possibili né modelli universali, né cattedre di ortodossia ideologica, né centri esclusivi di direzione politica. Il necessario processo verso un avvicinamento e una collaborazione si deve svolgere nel rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza di ogni Stato, di ogni partito e movimento; e in un confronto critico, libero e costruttivo, fra le diverse esperienze ed elaborazioni.

(Tesi n. 5)

La gravità dei problemi del mondo contemporaneo rende necessaria, più che mai, la collaborazione di tutte le forze democratiche e di pace, e innanzitutto tra le forze comuniste e socialiste, tra i movimenti rivoluzionarie progressisti di ogni paese del mondo.

Ciò richiede un nuovo internazionalismo. La necessità di una nuova concezione e pratica dell’internazionalismo è evidente da molto tempo.

Essa discende dallo stesso processo storico con cui si sono affermate nel mondo le grandi correnti emancipatrici, suscitate o stimolate dalla Rivoluzione d’Ottobre. Esperienze di trasformazioni socialiste della società si sono realizzate e si realizzano in numerosi paesi, grandi e piccoli, di diversi continenti: paesi che avevano livelli di sviluppo economico, patrimoni culturali, forme statali, collocazioni internazionali assai diverse. In altri paesi che conoscevano una secolare oppressione si è sviluppato un forte movimento di riscossa nazionale.

Questo processo ha segnato un mutamento profondo nell’assetto politico del mondo, colpendo duramente l’imperialismo, il colonialismo, il razzismo. […]

Quanto più si è venuto sviluppando il moto di liberazione nazionale e di emancipazione sociale, tanto più sono apparsi e appaiono inaccettabili rapporti ineguali tra stati.

Bisogna con coraggio e con grande ampiezza di vedute uscire dagli schemi ereditati dai vecchi rapporti tra gli Stati e da concezioni superate dell’internazionalismo, bisogna spingere avanti il processo di distensione internazionale. […]

(Tesi n. 40)

[…] Nel rapporto tra partiti comunisti – come, più in generale, tra i partiti del movimento operaio – deve essere stabilito un costume di rigoroso rispetto dell’indipendenza e dell’autonomia di ciascun partito. Deve essere esclusa ogni forma di ingerenza, diretta o indiretta, nella vita interna dei partiti.

[…] Nei rapporti tra gli Stati e a maggior ragione tra gli stati che si richiamano al socialismo si deve obbedire ai principi del diritto internazionale, alla Carta della Organizzazione della Nazioni unite e, dunque, rigorosamente rispettare l’indipendenza e la sovranità di ogni Stato. […]

(Tesi n. 43)

 Socialdemocrazie e paesi socialisti:

la lotta per un nuovo assetto mondiale fondato sulla pace, sulla giustizia e sulla cooperazione di tutti i popoli ha un suo punto focale nell’Europa occidentale. L’Europa occidentale può arrestare il declino della funzione culturale e civile che appartiene alla sua migliore tradizione, e acquistare una nuova funzione positiva nell’interesse di tutta l’umanità, solo se le diverse organizzazioni politiche, sindacali e di massa del movimento operaio e tutte le forze democratiche sapranno collaborare ed unirsi per realizzare i grandi obiettivi della difesa e del progresso della democrazia, della pace, dell’indipendenza e dello sviluppo di tutti i popoli , della cooperazione internazionale. E’ nel vivo di un tale impegno che le forze operaie e progressiste di orientamento socialista e comunista possono e debbono battersi per una trasformazione socialista che corrisponda alle tradizioni e alle peculiarità dei singoli paesi e dell’insieme di quest’area del mondo. […]

Si determina, in campo socialdemocratico, una differenziazione tra le forze che continuano a battere una via che esclude sostanziali modificazioni del sistema capitalistico e che mantiene una divisione del movimento operaio, e altre forze che comincino a porsi, anche con una riflessione autocritica, il problema del superamento del capitalismo e della ricerca di un incontro fra tutte le forze rappresentative del movimento dei lavoratori.

(Tesi n. 6)

il XX Congresso del PCUS aveva aperto, nel lontano 1956, grandi speranze in larga parte del movimento comunista, nel movimento operaio e democratico internazionale.  […]

Già Togliatti, nel 1964, avvertiva con il promemoria di Yalta che sulla via del XX Congresso non si andava avanti con coerenza e coraggio. L’intervento militare dell’Unione Sovietica e di altri paesi del patto di Varsavia in Cecoslovacchia ha interrotto la ricerca, in quel paese, di una via democratica nazionale, originale, di sviluppo del socialismo ed ha avuto conseguenze negative all’interno degli stessi Paesi che lo avevano compiuto.

Vi è però una ragione se sulla via del XX Congresso non si è andati avanti. Quel Congresso del PCUS non era risalito allo svolgimento storico per ricercarvi le cause che avevano reso possibili i fatti tragici che esso denunciava. Non aveva posto in discussione, cioè, questioni di fondo.

I costi pesanti pagati durante il processo aperto in Russia dalla Rivoluzione d’Ottobre derivano dalle condizioni obiettive in cui si era compiuta la prima rivoluzione proletaria, ma, insieme, da difetti ed errori di impostazione e di indirizzo economico e politico […].

Ciò ebbe ripercussioni negative profonde nei rapporti tra le classi, nei rapporti politici, nella natura stessa delle istituzioni. Si determino e permane una grave contraddizione tra lo sviluppo economico, l’elevamento culturale di massa, le premesse di democrazia implicite nella rivoluzione socialista, e il prolungarsi di forme di organizzazione della vita economica, sociale e politica che ostacolano il dispiegarsi di una vita pienamente democratica, l’esercizio di alcune libertà e diritti fondamentali, la piena partecipazione dei lavoratori. […]

(Tesi n. 42)

L’Europa:

Nelle condizioni di oggi, dunque, ripensamenti critici sono venuti e vengono maturando in tutte le forze progressiste e rivoluzionarie, democratiche avanzate, socialdemocratiche, socialiste, cristiane. Vi sono possibilità nuove di dialoghi costruttivi e di intese: per l’umanità, per l’Europa, per l’Italia.

[…] Un incontro di grande importanza può realizzarsi tra le forze che si ispirano agli ideali del socialismo e quelle forze del mondo cristiano e cattolico impegnate a cercare le vie di un profondo rinnovamento.

Si tratta, dunque, a differenza delle esperienze delle socialdemocrazie, di avviare processi di trasformazione socialista, che siano però diversi da quelli portati avanti, dopo la Rivoluzione d’Ottobre, nell’Unione Sovietica e in altri paesi socialisti in una molteplicità di esperienze dai tratti originali. In questo senso parliamo, per quanto riguarda l’Europa di una terza via. Si tratta di una visione della transizione al socialismo e delle caratteristiche di una società socialista che ha radici profonde nella storia dell’Europa occidentale, nelle secolari lotte per le libertà politiche, culturali e religiose che l’hanno caratterizzata, e soprattutto nelle grandi battaglie di democrazia, di libertà e di progresso sociale che sono state combattute e vinte dal suo movimento operaio. […]

La riflessione dei comunisti italiani si è incontrata negli ultimi anni con quella che andavano compiendo in modo autonomo altri partiti comunisti dell’Europa occidentale e di paesi come il Giappone. Pur nelle diversità storiche e di orientamento in cui essi operano, si è venuta affermando la convinzione comune che la lotta per il socialismo e la sua costruzione debbano attuarsi nella piena espansione della democrazia e di tutte le libertà. È questa la scelta dell’eurocomunismo. […]

(Tesi n. 7)

In una nuova concezione dell’internazionalismo particolare attenzione va dedicata ai rapporti tra partiti comunisti, socialisti e socialdemocratici. Il PCI ha operato e opera, anche su scala internazionale, per favorire il confronto delle idee e la convergenza con i partiti socialisti e socialdemocratici.

Esistono oggi le condizioni, attraverso il confronto critico, per aprire un processo che tenda al superamento delle divergenze storiche e ad una ricomposizione unitaria del movimento operaio dell’Europa occidentale.

Questa possibilità è resa più evidente dalla linea assunta, con l’eurocomunismo, da alcuni partiti comunisti dell’Occidente. […]

L’eurocomunismo si presenta come un insieme di politiche e di posizioni teoriche in via di elaborazione e di sviluppo, ed è già venuto caratterizzandosi come una speranza nuova per chi coglie la crisi di fondo del mondo contemporaneo e che non vuole rinunciare alla lotta per la costruzione di un destino progressivo all’umanità.

(Tesi n. 44)

Italia e blocchi militari:

I comunisti si sono pronunciati e si pronunciano per il graduale superamento della divisione dell’Europa in blocchi militari contrapposti, sulla base di precise e reciproche garanzie di sicurezza.

Questo processo in un mondo e in una Europa in cui la pace riposa ancora oggi sull’equilibrio di potenza, può avvenire a condizione che si evitino rotture unilaterali degli attuali equilibri: esse complicherebbero, anziché agevolare, il processo di distensione. Da ciò deriva la necessaria permanenza dell’Italia nell’alleanza atlantica, che deve operare a fini esclusivamente difensivi nel preciso ambito geografico per cui è stata creata. L’Italia, all’interno della NATO, non deve rinunciare all’esercizio libero e responsabile della sua autonoma iniziativa, alla lotta contro posizioni oltranziste e aggressive.

(tesi n. 34)

1983 – XVI Congresso

Dalla premessa del Documento Politico:

 1 Il mondo contemporaneo è di fronte a problemi cruciali che riflettono un vero e proprio passaggio d’epoca. Essi mettono in causa, sia pure in diverso grado e per ragioni diverse, i sistemi sociali, i meccanismi politici, le forme dello Stato, i modi di essere e di pensare.

[…]  La prima necessità è quella di prender chiara coscienza della realtà. E’ mutata la natura e la dimensione dei problemi che ormai incombono. Basti pensare:

  • alla distorsione introdotta nello stesso sviluppo storico – fino al rischio dello sterminio – dalla crescita impressionante degli ordigni nucleari e di armi di ogni tipo.
  • allo squilibrio crescente tra paesi industrializzati e aree sottosviluppate, nelle quali tra meno di venti anni vivrà l’80% di tutti gli uomini
  • al vero e proprio limite che incomincia a incontrare l’attuale tipo di sviluppo, sia per la rapina e lo spreco di risorse giunto al saccheggio della natura e alla degradazione dell’ambiente, sia per i nuovi bisogni che lo sviluppo stesso ha creato e che non è più in grado di soddisfare. […]

Emerge avanti a tutto la minaccia della guerra, che porterebbe – di fatto- alla distruzione della civiltà. Il compito che sovrasta ogni altro è, quindi, la salvaguardia della pace. […]

Dall’insieme dei processi appena richiamati, emerge una tendenza a concentrare in sedi ristrette e incontrollate poteri che sono essenziali per la vita della gente. […]

Negli ultimi decenni si sono manifestati nel mondo i più grandi movimenti di emancipazione delle classi oppresse e di liberazione dei popoli; è crollato il sistema coloniale; si sono diffuse in tutti i Continenti esperienze le più diverse le più diverse di tipo socialista da ripensare criticamente, da riformare profondamente, ma dalle quali è impensabile tornare indietro.

[…]

2 Di fronte ad un simile quadro, sommariamente tratteggiato, appaiono invecchiate e talvolta anacronistiche, tante dispute ideologiche che hanno diviso per decenni le diverse correnti della sinistra. Non a caso anche nelle socialdemocrazie si sviluppano riflessioni critiche che tendono a superare vecchie barriere e a intrecciarsi con quelle nostre e di altre forze di sinistra.

[…]

4 È in questo quadro che si pone il problema del destino dell’Italia. I processi di ristrutturazione

dell’economia e del potere su scala mondiale stanno già portando a mutamenti significativi nelle gerarchie internazionali. La politica degli Stati Uniti tende a colpire il peso economico e il ruolo politico dell’Europa, fino a subordinarla.

[…]

II – Per uscire dalla crisi con un nuovo tipo di sviluppo

1 […] La recessione in atto sul piano mondiale, la più grave dal dopoguerra, è anche la conseguenza del prevalere, dopo l’avvento alla presidenza degli Stati Uniti di Ronald Reagan di una risposta conservatrice a una crisi profonda e acuta […]

La stretta monetaria imposta dagli USA a tutto il mondo – accompagnata, per di più, da un massiccio spostamento di risorse verso le spese militari – ha provocato una generale caduta dell’attività produttiva. […]

In sostanza, lo scopo è di restituire agli USA una capacità di comando sull’intera economia mondiale, e al tempo stesso di favorire quei processi di ristrutturazione e di concentrazione già accennati in premessa.

Imprimere un cambiamento nei rapporti Stati Uniti- Europa è essenziale per difendere gli interessi europei e anche per influire sugli indirizzi della politica economica e monetaria americana. […]

V – il ruolo internazionale dell’Italia

1 […] I temi centrali di una politica estera italiana debbono perciò essere: difesa della pace e dell’indipendenza nazionale, impegno europeo, miglioramento dellerelazione Est-Ovest, nuovi una fase nella quale il problema rapporti con i paesi in via di sviluppo, difesa e valorizzazione della presenza del lavoro, della tecnica, della cultura italiana nel mondo.

2 L’esigenza prioritaria è quella di un attivo impegno dell’Italia, in tutte le sedi internazionali, per la ripresa del processo di distensione e per la pacifica soluzione dei problemi sul tappeto, nel rispetto dei diritti e dell’indipendenza dei popoli. Solo per questa via diventa concretamente possibile porre l’obiettivo del graduale superamento della divisione del mondo in blocchi contrapposti.

[…] I comunisti italiani considerano che le alleanze esistenti in Europa sono il risultato di tutta la storia postbellica e fanno parte di un equilibrio che l’Italia non deve alterare con gesti unilaterali. Ma questo stesso equilibrio può essere spinto verso un’evoluzione positiva, a misura che vengano meno le condizioni che lo hanno reso necessario, e cioè che si riesca ad ottenere un graduale superamento della logica dei blocchi. All’interno dell’Alleanza Atlantica e della NATO, come in ogni altra sede internazionale, l’Italia può e deve operare, con proprie proposte ed iniziative, per la pace e per la cooperazione tra tutti i paesi dell’Europa e tra l’Europa ed il resto del mondo intero.

[…] Se sorgono divergenze e contrasti essi vanno discussi e risolti su basi di pari dignità fra gli alleati senza atteggiamenti di soggezione (molto frequenti, invece, nel governo italiano) verso l’alleato più forte. […]

VI – La prospettiva del socialismo.

[…]

2 Nasce da tutto questo la nostra convinzione che, in realtà, si apre una fase nuova della lotta per il socialismo nel mondo: una fase nella quale il problema di una trasformazione in senso socialista nei punti più alti dello sviluppo capitalistico deve e può congiungersi strettamente con i movimenti di lotta e con le aspirazioni, di giustizia, di progresso umano e civile delle masse povere e oppresse dell’immensa area del sottosviluppo.

Questo vogliamo dire quando parliamo di nuovo internazionalismo. Ed è in questa prospettiva che si colloca tutta l’elaborazione compiuta dai comunisti italiani attorno al tema dell’eurocomunismo e di una “terza via”. […]

Non a caso nei partiti socialisti e socialdemocratici europei è oggi aperto un dibattito dal quale emerge la consapevolezza che occorre superare i limiti di una strategia che si fondava essenzialmente sulla redistribuzione del reddito senza determinare spostamenti decisivi degli assetti del potere economico e nel controllo dei processi di accumulazione. […]

3 È da questa angolazione, dal punto di vista cioè, di una forza decisa a lottare per aprire strade nuove e dare nuove prospettive a un movimento reale di forze e di idee capace di trasformare il mondo in senso socialista, che noi consideriamo – come dicemmo nel dicembre e nel gennaio scorsi – esaurita la spinta propulsiva di una esperienza storica del socialismo, quella contrassegnata dal modello politico, statale e ideologico realizzato in URSS. […]

4 […] Il dato, oggi rilevante, è la tendenza degli attuali circoli dirigenti americani ad affermare la loro supremazia con ogni mezzo: dalla corsa al riarmo alle pressioni economiche e finanziarie, dagli interventi contro le forze democratiche, specie in America Latina, all’incoraggiamento di aggressioni militari, nel Medio Oriente, nell’Africa del Sud e altrove.

Ma bisogna anche chiedersi perché l’URSS è venuta in parte perdendo quella grande capacità di influenza sugli orientamenti dell’opinione pubblica mondiale […]

Pesa, indubbiamente, l’aver compiuto atti come l’occupazione militare della Cecoslovacchia e dell’Afghanistan che non solo hanno violato principi essenziali d’indipendenza ma non hanno aiutato la lotta dei popoli contro l’imperialismo […]

Improponibile è per il PCI ogni ritorno a vecchie “scelte di campo”. Ma questo non significa affatto estraniarsi dagli scontri reali sul piano internazionale nei quali siamo intervenuti e interveniamo sulla base della nostra caratterizzazione di forza che si oppone all’imperialismo e che lotta per la pace, la libertà, e l’indipendenza dei popoli. […]

Fedeli a questi principi abbiamo sviluppato e intendiamo sempre di più sviluppare, senza vincoli ideologici o di disciplina, relazioni costruttive con partiti comunisti, socialisti, socialdemocratici, con forze cattoliche, cristiane e di altre ispirazioni ideali, con i movimenti di emancipazione nazionale, con tutte le correnti che nel mondo affermano aspirazioni di pace, di progresso, di democrazia, di socialismo.

[…]

6 Banco di prova effettivo dell’internazionalismo è la lotta per la pace e per un nuovo ordine economico mondiale. […] Perciò l’azione per la pace non può essere considerata monopolio di nessun partito o classe sociale, di nessuno Stato o blocco di Stati di nessuno schieramento internazionale […]

Nessuna prospettiva di trasformazione delle società occidentali, nessun progresso del mondo del lavoro e della causa della libertà può avere fondamento senza una rottura del meccanismo di sfruttamento dei popoli oppressi e di saccheggio delle risorse di interi continenti.

 Dalla relazione introduttiva di Berlinguer

 I) Non è vero che questa impostazione dei Comunisti italiani ignora la lotta di classe e l’azione dell’imperialismo […] In particolare oggi noi vediamo bene denunciamo e ci opponiamo alla pericolosissima politica di Reagan e ai suoi attentati e minacce all’indipendenza dei popoli a cominciare da quelli di Cuba, del Nicaragua, del Salvador, del Guatemala e di altri Paesi dell’America centrale, ai quali rinnoviamo il nostro impegno di solidarietà. […]

Non ci si venga a dire che ponendo obiettivi di questo tipo noi tentiamo di fatto a far uscire l’Italia dalla NATO. La richiesta è emersa da alcuni Congressi, ma è rimasta largamente minoritaria. Quello che noi vogliamo è che pur rimanendo nell’alleanza, i nostri governi smettano di dire sempre sì a quello che chiedono i governi americani. Sia ben chiaro che il Partito Comunista Italiano è favorevole a rapporti di amicizia e di collaborazione tra la Repubblica italiana e gli Stati Uniti d’America; ma, non vuole né subordinazioni né servilismi. Mantenendo fermo che il nostro obiettivo è non l’uscita unilaterale dai blocchi bensì il graduale superamento dei blocchi fino al loro scioglimento, il vero problema è come si sta nel Patto Atlantico e quale politica debbano fare il Patto Atlantico e la NATO. Altri paesi alleati degli Stati Uniti si comportano con maggiore dignità, autonomia e iniziativa perché non lo può fare l’Italia?

III) La più drammatica ed esplosiva delle ingiustizie che dilaniano il mondo attuale è certamente quella costituita dal divario nello sviluppo e nelle condizioni di vita tra le regioni del Nord e quelle del Sud del pianeta: un divario che è conseguenza ed espressione di uno sfruttamento di origine secolare e che continua in nuove forme anche dopo il crollo del sistema coloniale […]

 Il problema del sottosviluppo è divenuto ancora più dirompente in conseguenza della politica di Reagan. Gli alti tassi di interesse hanno portato l’indebitamento dei paesi in via di sviluppo a cifre da vertigine, al punto che questa politica strangolatrice verso ì paesi debitori rischia di provocare collassi finanziari giganteschi nelle grandi banche dei paesi creditori. […]

II sollevamento delle aree arretrate può essere un volano anche per la ripresa produttiva nei paesi capitalistici sviluppati, nei quali il solo settore che tira fortemente è quello dell’industria bellica connessa all’esportazione delle armi. […]

Il dibattito precongressuale ha dimostrato che larghissima è l’approvazione della parte del documento del C.C. relativa al nostro giudizio sulla situazione dei paesi del cosiddetto «socialismo reale», ivi compresa la formulazione relativa all’esaurirsi della spinta propulsiva del modello sovietico. […]

IV) In sostanza in Europa si discute e si sta ricercando qualcosa di nuovo proprio in direzione di quella che noi abbiamo chiamato terza via. Il PCI partecipa a questa ricerca come parte integrante del movimento operaio dell’Europa occidentale: con le sue inconfondibili peculiarità, con spirito aperto e unitario, come del resto dimostra l’ampio e proficuo sviluppo dei nostri rapporti con altri partiti comunisti e socialisti.