Vasi di ferro, vasi d’acciaio, vasi di coccio

Di Fulvio Winthrop Bellini

A proposito di USA, BRICS, UE.

Premessa: la rivincita della storia

Fa una certa impressione avere davanti agli occhi il declino dell’Europa nel triste modo al quale stiamo assistendo, e se anche alcuni provano scarsa simpatia per questa porzione di pianeta, non si può ignorare il fatto che stiamo parlando del luogo dove viviamo, di chi scrive e di coloro che avranno la bontà di leggere. In questo articolo per Europa si intende quella occidentale, nell’accezione che va di moda oggi, e per essere più precisi parliamo di una certa Europa, quella che rappresentava il centro del mondo il 27 luglio 1914, un giorno prima lo scoppio della Grande Guerra. Quell’Europa, al netto dei giudizi morali e politici su imperialismo e colonialismo, governava gran parte del mondo: la Gran Bretagna disponeva di un impero coloniale di 33 milioni di chilometri quadrati dispersi su tutto il globo terrestre; la Francia governava su 10 milioni di chilometri quadrati, soprattutto in Africa del nord ed Indocina; potenze regionali di second’ordine come Italia, Spagna (quel poco che rimaneva del suo sconfinato impero) Portogallo, Belgio e Olanda possedevano ragguardevoli porzioni di mondo, spesso molto più estese e popolate delle madri patria; persino la Germania, che non era mai stata eccessivamente affascinata dalle politiche coloniali, si trovava a possedere “suo malgrado” Togo, Camerun ed Africa del Sud-Ovest. Infine vi erano i due vetusti imperi d’Austria-Ungheria, signora dell’Est europeo in coabitazione con la Russia zarista, e della Turchia, la quale possedeva gran parte del Medio Oriente, che completavano il quadro della cosiddetta “Europa Universalis”.

Oggi quella concentrazione di dominii non solo non esiste più, ma è stata sostituita dalla soggezione nei confronti di una ex colonia, gli Stati Uniti d’America, che sta esercitando le regole che colonialismo ed imperialismo europeo hanno insegnato loro. Abbiamo visto una data, vigilia dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, alba del tramonto dell’Europa signora del mondo, vediamo ora una seconda data assai più recente, 24 agosto 2023, conclusione della riunione BRICS (noto acronimo di Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) a Johannesburg che ha adottato una decisone storica la quale comporta un netto salto di qualità di questa libera associazione di stati. In questo “gioco” di vecchie e nuove relazioni internazionali non ci si trova di fronte ad eguali attori, al contrario, vi sono nazioni leader, stati relativamente liberi, metropoli imperiali e provincie, e per usare termini più prosaici: vi sono vasi di ferro, vasi d’acciaio e vasi di coccio. In questo articolo cercheremo di capire di quali vasi stiamo parlando e per quali ragioni il vecchio continente da dominatore è divenuto dominato. In premessa, però, si possono anticipare alcune osservazioni. Ad esempio, si può affermare che la Storia, da un certo punto di vista, assomiglia ad un fiume carsico che in alcuni momenti scorre in superficie ed è possibile vederla, ma nella maggior parte del tempo fluisce nel sottosuolo e si può solo udire il suo passare.

Concetti sovrastrutturali come: democrazie liberali, liberismo economico, diritti civili individuali, solidarietà tra nazioni democratiche, uguaglianza tra i popoli eccetera sono “materiale di superficie” che costringe il fiume ad inabissarsi, e che ha indotto i popoli europei, ad esempio, a poter credere d’evitare di pagare il conto del proprio passato, degli errori della propria classe dirigente. Per essere più chiari, quando in passato la Storia è tornata in superficie, ad esempio verso la fine del XVIII secolo, la politica disastrosa della Francia di Luigi XVI venne pagata a caro prezzo dall’aristocrazia e dal clero: si chiamò rivoluzione francese; all’inizio del XX secolo la terribile condotta dello Stato russo prima e della guerra mondiale poi da parte di Nicola II fu espiata nelle due rivoluzioni russe di febbraio e di ottobre. Nessuno dei due tiranni e delle loro classi sociali furono in grado d’opporre un racconto persuasivo ai loro popoli, ora si direbbe alle loro pubbliche opinioni, che occultasse le loro malefatte, che fosse in grado quindi d’inabissare nuovamente la Storia. Al contrario, oggi il fiume scorre sotto terra, nessuno lo vede e pochi lo odono. Chi governa riesce ancora a far credere una realtà fittizia che lo scagiona dalle proprie responsabilità, com’è recentemente accaduto al Presidente di Regione Lombardia, co-responsabile di 46.000 morti durante la Pandemia da Covid-19, il quale non solo non è stato attenzionato dalla magistratura, non solo non ha sentito minimamente l’esigenza di ritirarsi dalla vita politica, non solo si è ripresentato alle elezioni ma le ha pure vinte. Tuttavia, il conflitto in Ucraina, l’allargamento dei BRICS sono segnali che il corso della Storia sta nuovamente puntando la superficie.

Una seconda osservazione: Prima e Seconda Guerra mondiale non sono stati solo terribili eventi circoscritti all’interno di un determinato spazio temporale, oppure che hanno generato effetto nei decenni immediatamente successivi, ma pure a distanza di settantotto anni dalla fine del secondo conflitto possiamo vederne le conseguenze riverberarsi nella politica internazionale di questi ultimi anni. Dal 1914 al 1945 in Europa c’è stata un’autentica ecatombe: 17 milioni di morti in occasione della prima guerra mondiale; circa 5 milioni durante la guerra civile russa e relativa carestia del periodo 1920-1922; 38 milioni durante la seconda guerra mondiale per un totale di 60 milioni di europei nel giro di trentuno anni. Questo dato impressionante si trascina dietro quello dei mutilati e quello delle devastazioni dei territori dove le guerre sono passate. Il Vecchio continente si è dissanguato, sia in termini di vite sia in termini di ricchezza, come mai gli era successo nella sua storia, nonostante fosse abituato da secoli a sanguinose guerre intestine, dove però le potenze europee si scambiavano la leadership tra loro. Nel XX secolo a beneficiare dell’incredibile tributo di vite e di ricchezze è stata una potenza extra europea: gli Stati Uniti, e la responsabilità di questo suicidio collettivo ricade interamente sull’aristocrazia prima e sulla borghesia poi del vecchio continente, che sapevano benissimo cosa stavano facendo. È noto come Alexis de Toqueville, nella sua pregevole opera “La democrazia in America“pubblicata nel 1835, spiegasse le ragioni che avrebbero portato Stati Uniti e Russia a diventare le grandi potenze del futuro: sia per le loro enormi dimensioni geografiche, sia per le considerevoli ricchezze celate sopra e sotto terra ed ancora inesplorate. Sempre secondo Toqueville le due potenze avrebbero anche rivaleggiato tra loro, proprio per le analoghe ragioni di preminenza.

La “profezia” del proto-sociologo francese non rimase inascoltata dalle cancellerie europee, soprattutto dalla grande potenza di allora, l’Inghilterra, la quale, dopo il fallito intervento militare negli Stati Uniti nella guerra del 1812-1815, decise di sorreggere gli Stati confederati in occasione della guerra di secessione del 1861-1865, che produsse ben 620.000 morti, senza però raggiungere lo scopo di scongiurare il futuro di grandezza di uno dei due predestinati. Nemmeno il progressivo collasso dello zarismo nel periodo 1905-1917 determinò lo smembramento della Russia secondo i dettami del famigerato “Piano Parvus”, salvata dal genio rivoluzionario di Lenin e dalla leadership d’acciaio di Stalin: Nomen omen. La profezia di Toqueville si realizzò alla fine della seconda guerra mondiale, quando le due potenze vincitrici divisero l’Europa in rispettive sfere d’influenza, decretando la definitiva abdicazione del vecchio continente dal suo status di centro del mondo. Tuttavia la divisione non fu affatto paritetica: le perdite sovietiche nel secondo conflitto furono di 25 milioni di morti, con relative immani devastazioni su tutto il territorio sovietico ad ovest di Mosca, quelle americane di 413.000 morti e nessun danno al proprio territorio. Tra i due reali vincitori del conflitto, il beneficiario indiscusso fu quindi una potenza non europea, che si apprestava ad imporre la Pax Americana sul vecchio continente. Gli europei occidentali che uscivano tutti sconfitti dalla Guerra, sia i formali vincitori Gran Bretagna e Francia sia gli effettivi sconfitti Germania ed Italia venivano tutti investiti dalla Pax Americana, il cui reale peso sull’Europa fu mitigato dalla presenza dell’unica potenza europea effettivamente vincitrice del conflitto: l’Unione Sovietica. La contrapposizione Est Ovest del periodo 1945-1990 ha procrastinato la realizzazione della visione americana dell’Europa a dopo la caduta del Muro di Berlino; oggi la possiamo conoscere completamente.

Vasi di ferro: gli Stati Uniti

In passati articoli ci si è soffermati sui punti deboli della metropoli imperiale americana, che sono innanzitutto legati alla profonda crisi del dollaro inconvertibile. Si confermano tutti gli elementi di critica fatti, e si ribadisce che gli USA si trovano in una crisi irreversibile. Tuttavia non bisogna cadere nel grave errore di dare per scontato un processo di declino che, invece, può durare ancora molti anni seguendo un percorso in gran parte sconosciuto. In altre parole, non sappiamo per quanto tempo gli Stati Uniti siano ancora in grado di reggere il loro ruolo imperiale, e non sappiamo quanti danni siano disposti ad arrecare a tutta l’umanità prima di abbandonarlo. Occorre tenere sempre presente il grado di consapevolezza della classe dirigente americana circa la sua crisi e quali siano le strategie che essa pensa di adottare per scongiurarla. Quando un impero imbocca il suo viale del tramonto, oltre alle tradizionali divisioni della sua classe dirigente, che negli Stati Uniti è tripartita tra “bostoniani”, “texani” e “californiani”, si formano due partiti trasversali che sono sempre gli stessi dai tempi della caduta dell’impero romano a quella del muro di Berlino: i conservatori a prescindere dalle condizioni oggettive di conservazione ed i liquidatori a prescindere dalle incognite legate alla liquidazione. Oggi il partito della conservazione ispira ancora la strategia americana, e può contare su di un “patrimonio” tale da potere definire gli Stati Uniti un vaso di ferro, ancor più forte rispetto al periodo della Guerra Fredda. Quali sono gli asset principali sui quali Washington può contare per esercitare con sempre maggiore dispotismo il suo ruolo imperiale? Essi sono sia materiali che immateriali. Quelli materiali sono sempre gli stessi che vanno verificati quando si parla di un impero: le “navi e la moneta” come hanno magistralmente insegnato gli inglesi. Vediamo brevemente i principali numeri che riguardano le forze armate americane desunti dal sito Statista.com: bilancio militare del 2022 pari all’incredibile cifra di 877 miliardi di dollari (le note nazioni “autocratiche” e “guerrafondaie” Cina e Russia hanno speso rispettivamente 292 miliardi e 86,40 miliardi nonostante la seconda sia impegnata nel conflitto ucraino); personale dipendente dal ministero della difesa militare e civile 1,33 milioni di unità a cui vanno aggiunti 800 mila riservisti; una poderosa marina composta da 11 portaerei, 71 sottomarini nucleari, 122 navi da guerra; un’aviazione formata da 5.900 areoplani; una logistica planetaria costituita da circa 750 basi militari; e “last but not least” un arsenale dotato di 5.244 testate nucleari. Questi numeri sintetici riguardanti alcune voci dell’enorme apparato militare americano certificano la leadership mondiale di Washington in questo campo. Leadership, però, che deve fare i conti con la bassa propensione combattiva e la mediocre professionalità dei soldati americani compensate da teorie militari ed innovazioni tecniche che moltiplicano il potenziale distruttivo delle forze armate USA soprattutto nei confronti delle popolazioni civili, potenziale che per assurdo rendono gli Stati Uniti ancor di più un vaso di ferro.

La guerra in Iraq ha ampiamente mostrato la filosofia strategica americana in fase d’approccio al fronte sintetizzato nel concetto di “Strike”: un uso combinato di forze aeree e navali impegnate in massicci ed incessanti bombardamenti sia su obiettivi militari che civili in modo da creare condizioni di distruzione e terrore tali da annichilire residue resistenze ed agevolare al massimo l’ingresso sul terreno di una fanteria fortemente meccanizzata. Tale fanteria, spesso in preda a timor bellico, non risparmia a sua volta atti di violenza gratuita sui civili di ogni età sospettati di essere combattenti “in borghese”, denotando in questo atteggiamento scarsa professionalità. Per “professionalità” di un esercito impegnato in un teatro di guerra si intende la capacità di ridurre al minimo il numero dei morti civili, tradizionalmente confine tra conflitto legale e illegale, e che sfocia in larga parte nei cosiddetti crimini di guerra. Sotto questo profilo la teoria americana dello “Strike” dovrebbe far riflettere gli ammiratori del tribunale internazionale dell’Aja: secondo l’organizzazione mondiale della sanità le morti violente tra il marzo del 2003 ed il giugno del 2006, fase del conflitto propriamente detto in Iraq, si sono posizionate in una forbice tra le 104.000 e le 223.000 vittime civili, anche se vi sono stime irachene con numeri maggiori.

A titolo di paragone, la missione delle Nazioni Unite in Ucraina gestita dalla OHCHR, un’agenzia tutt’altro che filo russa, ha certificato 26.384 morti civili nel periodo 24 febbraio 2022 – 13 Agosto 2023, ed anche presumendo ovviamente a torto che siano tutti da imputare alle forze armate russe, facendo una proiezione teorica sul periodo dei 40 mesi presi in considerazione per il conflitto iracheno, le vittime civili in Ucraina sarebbero circa 58 mila, certamente un numero inaccettabile ma almeno la metà di quello “accettabile” causato dagli americani. Ecco la differenza tra un esercito professionale ed uno che non lo è. È logico aspettarsi un comportamento ancor più “timoroso” ed ancor meno “professionale” delle forze armate USA in caso di conflitto convenzionale con i russi, quindi ci si deve attendere la solita tattica di approccio al fronte secondo la teoria dello “Strike” che devasterebbe i territori europei interessati causando un numero di morti civili altrettanto elevati rispetto a quelli iracheni: e non importa se si tratta di ucraini, polacchi, baltici, bielorussi o russi. L’innovazione tecnica soccorre la scarsa propensione al combattimento dell’esercito americano deriva dal largo utilizzo di droni che si è avuto nel conflitto ucraino. Il drone aereo e quello marino telecomandato a distanza attenuano i rischi che aviatori e marinai americani dovrebbero correre sempre nell’ipotetico conflitto con aeronautica e marina russe. Il grado di tolleranza dei rischi di essere abbattuti da parte dei piloti americani è notoriamente molto basso, ed a puro titolo di esempio è sufficiente ricordare l’Operazione Linebacker II nel dicembre 1972 intrapresa dalla sola U.S. Air Force nel Vietnam del Nord con largo uso degli enormi bombardieri strategici B-52. Fino a quel momento le fortezze volanti americane erano protette dalle altezze dalle quali sganciavano le bombe e dal fatto che i vietnamiti non possedevano armi in grado di abbattere quei temibili bombardieri. Tuttavia, durante la Linebacker II, furono abbattuti ben 15 velivoli B-52, togliendo ai loro equipaggi la certezza di farla sempre franca dopo il solito bombardamento indiscriminato. Lo sgomento dei piloti USA sulla inaspettata capacità difensiva dei vietnamiti sfociò in un forte malcontento, alcuni parlarono di vero e proprio “sciopero”, che contribuì alla conclusione del conflitto.

Se ora facciamo mente locale su cosa significherebbe per i piloti a stelle e strisce affrontare i moderni velivoli russi, possiamo valutare l’aiuto che i droni sono in grado di fornire all’azione militare USAF nel teatro europeo, anche in questo caso aumentando notevolmente i rischi per i civili. In conclusione, non è sufficiente pesare quantitativamente l’arsenale bellico americano ma occorre anche porre attenzione al modo col quale viene usato per determinare la durezza del vaso di ferro made in USA. Dopo aver valutato “le navi”, vediamo ora “la moneta”. L’importanza del dollaro nella storia delle monete è principalmente legata al tentativo di sostituire alle tre funzioni del denaro: mezzo di pagamento con un valore in cui tutti confidano; unità di conto che permette di attribuire prezzi a beni e servizi; riserva di valore; una funzione omnicomprensiva ma in contraddizione con le tre precedenti: cioè “arma surrettizia di dominio”. Il ritorno del dollaro nell’alveo della tradizione tutta americana delle banconote inconvertibili, che hanno finanziato la conquista del West nel corso del XIX secolo, avvenuto nell’ormai lontano agosto del 1971, ha innescato un processo di progressiva sostituzione delle tre funzioni che abbiamo visto con quella di “arma di dominio surrettizia”, non potendo usare quella atomica in quanto posseduta anche dagli avversari. Quando si può stampare carta moneta a ciclo continuo, costringendo il mondo ad accettarla, puoi permetterti per un certo periodo della tua storia, di avere contemporaneamente burro e cannoni. Il rovescio della medaglia risiede nel fatto che, creando una enorme massa monetaria, distruggi progressivamente la tua moneta proprio perché il processo di sostituzione priva la tua divisa di possedere le tre funzioni naturali. Tuttavia, ancora oggi il dollaro è accettato in tutto il mondo, ed è questo elemento che permette di essere ancora un’”arma di dominio surrettizia”. Facciamo un esempio recente tra i tanti che si potrebbero fare: il Presidente Joe Biden ha appena “donato” allo stato delle Hawaii 95 milioni di dollari il giorno dopo aver varato un nuovo pacchetto di aiuti all’Ucraina di 295 milioni (L’Antidiplomatico del 31 agosto), nonostante il bilancio federale del 2022 si sia chiuso con un passivo di 1.400 miliardi di dollari (fonte Congressional Budget Office), ed il debito complessivo veleggi ad oggi sui 32.828 miliardi. Risulta del tutto evidente che il dollaro non è più una vera moneta, è divenuto invece uno strumento di dominio che procura agli Stati Uniti benefici e privilegi ottenibili altrimenti solo attraverso vittoriose campagne militari. Veniamo ora ai due asset immateriali che rendono gli USA un vaso di ferro: l’ideologia e la corruzione della classe dirigente.

Dobbiamo intendere entrambi i termini nel loro senso più complessivo e meno banale possibile, altrimenti non si può comprendere la grande pervasività che ideologia e corruzione esercitano in modo combinato sulla classe dirigente occidentale specialmente del vecchio continente. Cogliere gli asset immateriali degli Stati Uniti significa capire come sia possibile che la comunità politica europea, ad esempio, stia perseguendo in modo convinto e coordinato una politica sfacciatamente contraria agli interessi delle nazioni governate. La “Fine della storia e l’ultimo uomo” di Francis Fukuyama è un libro indigesto per chi usa la “cassetta degli attrezzi” del marxismo per analizzare la realtà, e per chi crede che la Storia sia il tavolo da lavoro sul quale utilizzare tali attrezzi; ma se consideriamo il fatto che Fukuyama si rivolgeva al pubblico solamente per motivi commerciali, vendere il suo libro, mentre scriveva solo per una determinata classe sociale, la borghesia apolide del denaro che si stava affermando proprio tra la fine degli anni novanta e gli inizi del duemila, allora quel testo assume un significato del tutto diverso. Cosa c’è scritto tra le righe di quel libro: si celebra la vittoria del capitalismo sul socialismo; del diritto individuale su quello collettivo; del perpetuo allontanamento del limite etico e giuridico dall’uomo ricco nel soddisfacimento dei suoi bisogni, dei suoi capricci e dei suoi vizi; della scissione del capitale dal lavoro; dall’assunto che ogni sistema politico ed economico alternativo al modello di democrazia liberale e di economia liberista è inaccettabile, anzi è impossibile. Figlia di questa ideologia è la propaganda, che ha il compito di declinare in slogan i desideri della classe dominante. Il modello scelto per la propaganda occidentale è quello descritto da George Orwell nel suo romanzo “1984”, che da bravo intellettuale inglese, mentre ci descriveva un fantasioso mondo socialista, insegnava ai governanti del cosiddetto “mondo libero” come far credere ai loro governati di viverci veramente.

Oggi per vedere l’informazione orwelliana è sufficiente accendere la TV, ascoltare la Radio oppure leggere i giornali sulla guerra in Ucraina, per esempio. Sulla robusta sovrastruttura ideologica si è costruito il secondo asset, che oggi contempliamo in tutta la sua forza nella comunità politica europea. Occorre chiarire che per corruzione di una classe dirigente s’intendono tutte e tre le componenti costitutive, che si attivano in modo successivo e che non necessariamente sfociano nella corruzione materiale, la meno importante delle tre. Innanzitutto vi è quella morale, figlia del cinismo tipico dei sistemi democratici liberali, che è stata descritta da Michael Hudson in modo esemplare: “Gli Stati Uniti hanno talent scout in tutta Europa e in Asia che cercano laureati promettenti nei loro 20 anni che sono molto opportunisti e tuttavia hanno un appeal politico apparentemente ampio. Li nutrono e danno loro sostegno finanziario dalle fondazioni americane, e li portano in America per l’addestramento e gradualmente li preparano per essere primi ministri o politici o leader militari o amministratori politici filo-americani. Lo hanno fatto negli ultimi 75 anni dalla fine della seconda guerra mondiale. C’è una classe dirigente in Europa e apparentemente in gran parte dell’Asia che è già stata protetta dagli Stati Uniti che hanno la loro ricchezza legata al sostegno degli Stati Uniti e alla proprietà negli Stati Uniti o nell’economia statunitense. Quindi la leadership politica dell’Europa è molto diversa dalla percezione popolare di ciò di cui l’Europa ha bisogno. L’Europa e gran parte dell’Asia sono gestite in base a ciò che avvantaggia gli Stati Uniti, non a ciò che avvantaggia le loro popolazioni nazionali. E, naturalmente, questo è ciò che fa arrabbiare così tanto l’America riguardo alla Russia e alla Cina: in realtà stanno cercando di gestire le loro economie per sostenere i propri standard di vita, la propria popolazione e il proprio potere militare invece di subordinare i propri interessi agli interessi degli Stati Uniti”. Dalla corruzione morale, che è eminentemente personale, si passa a quella politica, che è caratteristica di una comunità più o meno vasta. Washington ha la consapevolezza di potere contare su di un gruppo di leader che agiscono nei loro interessi e che variano la loro politica a seconda delle direttive, si tratta di un mix di fanatismo ideologico ed opportunismo personale che può sfociare anche nella corruzione materiale, come ha dimostrato la recente vicenda del Quatargate targata Panzeri-Kaili. Il prototipo del politico occidentale forgiato dagli Stati Uniti e che risponde perfettamente alla descrizione di Hudson è indubbiamente Mario Draghi, proconsole degli Stati Uniti in Europa, tanto proconsole che durante il suo governo, Washington non aveva neppure sentito l’esigenza di nominare un suo ambasciatore a Roma. Se dall’asset immateriale “ideologia” discende la propaganda orwelliana, dall’asset immateriale “corruzione” deriva il concetto di “partito unico”, anche questo prodotto dall’incessante lavoro d’intelligence sulla formazione della classe dirigente europea.

Vasi d’acciaio: i BRICS

Come noto si è appena concluso il fondamentale vertice annuale dei capi di stato dei BRICS a Johannesburg in Sud Africa. Si sono scritti a ragione innumerevoli articoli per spiegare, ed anche per mistificare, la riunione di Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa a cominciare dal risalto dato dall’assenza di Vladimir Putin, colpito da mandato di cattura del Tribunale Internazionale dell’Aja, uno dei numerosi tentacoli di cui è dotata la “Spectre” di Washington. Il risultato è stato che i russi erano presenti sia col loro presidente via etere sia con il loro ministro degli esteri, Sergej Lavrov, in presenza. La riunione era attesa da tutte le cancellerie del mondo, cosa che non si può dire quando si trovano i G7, perché si attendevano delle decisioni che avrebbero fatto fare un salto di qualità notevole all’organizzazione del mondo non occidentale. I leader dei BRICS non hanno deluso la platea mondiale con l’annuncio dell’ingresso di sei nuovi membri come ufficializzato nella “Johannesburg declaration”, il documento congiunto a fine lavori: “Abbiamo deciso di invitare la Repubblica di Argentina, la Repubblica Araba d’Egitto, la Repubblica Federale Democratica di Etiopia, la Repubblica Islamica dell’Iran, il Regno dell’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti a diventare membri a pieno titolo dei Brics a partire dal 1° gennaio 2024″. Alcune osservazioni vengono spontanee ed una di queste è addirittura banale: secondo la Propaganda occidentale, Stati Uniti ed alleati sono la parte migliore del pianeta, sono il luogo dove democrazia e libertà regnano sovrani, allora come mai nessun paese su questa terra, tranne forse l’Ucraina a guida del presidente-attore-burattino Volodimir Zelensky, non si sogna nemmeno lontanamente di fare domanda d’ingresso, ad esempio, nei G7? Al contrario, tra i componenti dei BRICS vi sono svariate autocrazie, due delle quali sospettate di essere “imperi del male” come avrebbe detto il non compianto Ronald Reagan, allora perché vi è la fila per potere entrare in questo club: “BRICS. 22 paesi chiedono di aderire” titola Notizie Geopolitiche del 23 luglio scorso. Evidentemente la propaganda orwelliana occidentale funziona solo in occidente. Veniamo ora ad osservazioni meno banali. Se i pretendenti all’ingresso erano 22, come mai ne sono entrati solo 6? Quale logica di scelta è stata applicata? Quale meccanismo è stato costruito? Rispondere a questi quesiti ci può dare uno sguardo sull’architettura della governance dei BRICS, che è utile investigare al di là delle dichiarazioni dei relativi capi di Stato che, ovviamente, fanno un poco di propaganda a loro favore. Proviamo a dare uno sguardo obiettivo. I BRICS hanno costituito di fatto un gruppo direttivo formato dai capi di Stato dei paesi fondatori. Nonostante l’indiscussa tendenza democratica dell’organizzazione, una minima struttura verticale è stata individuabile al vertice di Johannesburg. Il metodo d’ingresso nei BRICS è attraverso cooptazione da parte del “comitato direttivo”, ed ogni membro di questo direttivo ha potuto presentare uno o più candidati in qualità di “paese sponsorizzato”: la Cina ha sostenuto Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti; la Russia ha appoggiato l’Iran, il Sud Africa ha certamente sponsorizzato l’Etiopia e probabilmente l’Egitto; il Brasile ha caldeggiato l’ingresso dell’Argentina; in questo giro l’India non sembra aver sponsorizzato nessuno. Riassumendo: i BRICS sono organizzati; possiedono un comitato direttivo; cooptano alcuni tra i numerosi richiedenti; ogni membro direttivo presenta propri candidati all’approvazione del comitato. A questo punto ci troviamo di fronte alle logiche di selezione che riguardano sia le motivazioni del singolo membro del comitato a sponsorizzare un dato paese sia alla logica con la quale il comitato coopta lo sponsorizzato. Facciamo alcuni esempi. Vi sono ragioni legate alla politica energetica: la cooptazione di Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, sommati alla Russia, portano la quota di produzione del petrolio mondiale dei BRICS+6 alla ragguardevole percentuale del 42%, che sale se si considera la posizione di estrema vicinanza politica di un altro grande produttore come il Venezuela, e che cresce ulteriormente in considerazione del peso dei componenti dei BRICS+6 nell’ambito dell’OPEC+. Vi sono ragioni logistiche: la cooptazione dell’Egitto permette ai BRICS+6 d’influenzare la politica sul canale di Suez, arteria vitale dell’Europa. Vi sono ragioni di politica alimentare: la presenza di Argentina ed Egitto, sommati alla Russia, assicurano agli altri componenti BRICS+6 adeguate derrate alimentari. Vi sono ragioni d’acquisizione di leadership regionali di competenza: il Sud Africa, spalleggiato da Egitto ed Etiopia, può diventare leader naturale dell’Africa; il Brasile, spalleggiato da Argentina e Venezuela, anche se non membro BRICS, può assumere la leadership in America Latina. La platea mondiale attendeva poi una seconda decisone altrettanto rivoluzionaria rispetto a quella appena descritta. Gli Stati Uniti hanno tirato un sospiro di sollievo perché non è stata presa, ci si è limitati a semplici dichiarazioni a latere delle riunioni, in considerazione del fatto che in questa fase non c’è bisogno di fare altro per raffreddare l’aggressività USA al di fuori delle proprie provincie imperiali. Stiamo parlando della dedollarizzazione dei mercati controllati dai BRICS, dell’uso delle divise nazionali nella regolazione delle Bilance commerciali tra i paesi BRICS+6. In questo caso si aprirebbero scenari decisamente terribili per l’Occidente collettivo, connessi con l’alto rischio del collasso iperinflazionistico della moneta zombi dollaro: la divisa già morta ma vivente perché legata alla metropoli imperiale. Infine, per quale ragione si è definito i BRICS+6 dei vasi d’acciaio e non di ferro come gli USA? Perché vi sono paesi militarmente all’altezza degli Stati Uniti, essi sono Russia e Cina, ma tutti insieme possiedono percentuali di materie prime, capacità industriali, capitali reali, controllo di mercati, per molti versi superiori a quelli occidentali. I BRICS+6 hanno quindi maggiori strumenti di lotta geopolitica alternativi a quello militare: energia, finanza, commercio, politica monetaria. Gli Stati Uniti ne hanno uno solo, anche se quello decisivo.

Vasi di coccio: l’Unione Europea

Torniamo al tema iniziale dell’articolo. Abbiamo visto che gli Stati Uniti sono vasi di ferro, potranno essere anche in crisi ma hanno ampiamente dimostrato di controllare i governi europei con aggio dispotico, stessa sensazione è stata data nei confronti di Giappone e Corea del Sud in occasione del summit a Camp David del 19 agosto scorso, dove il Presidente Biden si è anche esibito in una gag da consumato cabarettista: “Questo vertice non riguardava la Cina. Questo non era lo scopo dell’incontro, ma ovviamente abbiamo affrontato la questione perché non sia detto che non condividiamo le preoccupazioni circa la coercizione economica o le tensioni causate dalla Cina”: impareggiabile. Abbiamo visto che i BRICS+6 sono vasi d’acciaio, avendo membri che possono rivaleggiare militarmente con gli USA, e che globalmente possiedono risorse, sistemi produttivi e controllo sulle vie di comunicazione di terra (Road Belt Initiative) ed anche di mare spesso superiori al blocco occidentale. Il conflitto in Ucraina, invece, ha svelato chi siano i vasi di coccio, cioè l’Unione Europea, la quale ha palesato tutta la sua debolezza, strattonata dalle catene americane lontano dai suoi interessi naturali. Quello che forse non è stato sottolineato a sufficienza è che la crisi europea non è stata generata da un fatto determinato, ad esempio, dal collasso finanziario avvenuto nel 2008 a seguito del fallimento della Banca Lehman, oppure da una crisi ciclica di sovraproduzione del sistema manifatturiero, l’Europa, e segnatamente la Germania ed in parte anche la Francia, sono state spinte nella recessione dalla propria classe politica; in altre parole i responsabili della situazione nella quale versa il vecchio continente oggi sono noti, hanno dei nomi e dei cognomi, appaiono quotidianamente in televisione a pontificare su come si governa un paese, su come si conduce la politica estera. Fa una certa impressione vedere la sfacciataggine colla quale questi leader raccontano una storia in totale contraddizione con la realtà, certi che nessuno, membri politici di opposizioni inesistenti oppure giornalisti di regime, osi contraddirli pubblicamente. Esiste quindi una comunità politica occidentale simile ad una piovra, piuttosto che ad una struttura piramidale, con al centro Washington dalla quale partono una serie di tentacoli ognuno dei quali è un governo sovranazionale (Commissione europea) oppure nazionale ad ovest ed est dell’Europa. Attraverso questi tentacoli, gli Stati Uniti hanno potuto avviluppare il vecchio continente e stritolarlo progressivamente nella loro strategia di promozione della guerra per procura in Ucraina, raggiungendo una serie di obiettivi che sono, dal meno importante al principale: impegnare la Russia in un conflitto militare che la mettesse in difficoltà; staccare progressivamente l’Europa dai proficui commerci con Russia e Cina; polarizzare i campi tra Occidente e BRICS; dollarizzare l’economia europea costringendola a comprare energia e materie prime ai prezzi inflazionati dei mercati controllati dal dollaro, come quello dell’energia di Amsterdam; allineare il cambio del dollaro a quello dell’Euro per scaricare efficientemente aliquote dell’inflazione insita nel biglietto verde; dare impulso al processo di subordinazione dell’Unione Europea alla NATO in modo da portare i paesi membri in uno scenario il più possibile simile a quello dell’Operazione Barbarossa del 1941. Per raggiungere questi scopi tutt’altro che banali anche per la metropoli imperiale, occorreva colpire simultaneamente i tre principali paesi continentali: Russia, Germania e Francia. Per Mosca, ormai è quasi ammesso anche dai propagandisti occidentali, gli americani sono stati in grado di promuovere un governo fantoccio in Ucraina, guidato da un presidente-attore-burattino che sta mandando al massacro i propri concittadini nella vana speranza di scalfire la prima delle tre linee di difesa dell’Esercito russo nel Donbass; tuttavia la Russia per ora non è affatto un obiettivo prioritario degli americani. Lo è stata invece la Germania, alla quale è stato revocato il permesso di dirigere il vecchio continente nel suo sostanziale interesse e meno di quello di Washington. La festa per i tedeschi è finita con l’uscita di scena di Angela Merkel e con l’avvento del “Draghi tedesco” Olaf Scholz. Grazie all’attiva connivenza del cancelliere, gli Stati Uniti hanno proceduto alla disarticolazione del sistema industriale tedesco basato sulla produzione ad alto valore aggiunto in patria, delocalizzazioni delle fasi di produzione a basso valore in Europa orientale e nord est Italia, possibilità di avere ottimo gas russo a prezzi vantaggiosi. Il mandante del sabotaggio dei gasdotti North Stream 1 e 2, al di là delle favole raccontate dai mass media di regime, è stato immediatamente chiaro alla classe dirigente tedesca: gli Stati Uniti con la complicità forse dei norvegesi, oppure dei polacchi oppure ancora degli ucraini. Se l’infrastruttura energetica tedesca è fondata sul gas naturale, e quindi occorreva eliminare i tubi di rifornimento e sostituirli con quegli obbrobri ambientali che sono i rigassificatori (ma Greta Thunberg dov’è?), la struttura energetica francese si fonda sull’energia nucleare e sui rapporti neo coloniali che la Francia ancora oggi esercita nell’Africa centro occidentale.

Guarda caso il Niger, principale fornitore di uranio della Francia, e che Parigi teneva sotto stretto controllo tramite il solito presidente filo francese e filo occidentale, che nel caso specifico si chiama Mohamed Bazoumun, è stato destituito da un colpo di stato militare il 26-28 luglio scorsi, in un curioso rovesciamento dei ruoli rispetto ad esempi passati di golpe. Nell’America Latina di alcuni anni fa, era il presidente democraticamente eletto dai cittadini, magari con un programma patriottico e anti americano, che veniva rovesciato dal classico golpe militare ispirato da Washington. In Niger, il presidente filo francese e strumento di sfruttamento dei nigerini è stato cacciato da una giunta militare “patriottica”, che ha inalberato la bandiera della lotta al neo colonialismo, anche se per ora l’aggettivo patriottico è bene metterlo tra apici. L’importanza del golpe nigerino nella nostra analisi, però, risiede nella constatazione per una ex potenza europea, la Francia appunto, di trovarsi tra vasi di ferro e vasi d’acciaio essendo un semplice vaso di coccio. Quando Parigi ha chiamato alle armi alleati e vassalli regionali, dicesi NATO e Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale ECOWAS, si è accorta che parecchie cose non funzionavano. Dal punto di vista regionale i nigerini si sono dimostrati tutt’altro che contrari ai golpisti e tutt’altro che favorevoli ai francesi, potenziali restauratori dell’”ordine democratico”. In caso di attacco francese, Burkina-Faso e Mali, due paesi che si sono già scrollati di dosso il giogo democratico di Parigi, si sono subito dichiarati pronti ad aiutare militarmente la giunta nigerina, e tutti e tre i paesi hanno chiamato in aiuto, non è chiaro in quali modalità, la Russia come grande protettore della rivolta anti neo-coloniale. Mosca per ora si schermisce, facendo ovviamente il proprio gioco, ma non cessa di stupirsi di quanto sia poco isolata diplomaticamente. Tuttavia, lo schiaffo più disonorevole per i francesi è venuto da “amici ed alleati”; innanzitutto dai mass media di regime. Quando sono gli interessi americani ad essere minacciati, nessuno osa mettere in dubbio che Washington agisce militarmente esclusivamente in nome della libertà e della democrazia, quando è stato il turno dei francesi di recitare la medesima favola a proposito del Niger, tutta la stampa internazionale ha messo ben in risalto i rapporti neo coloniali di Parigi con Niamey, lo sfruttamento delle risorse nigerine, uranio innanzitutto, da parte delle voraci multinazionali francesi. Ma quando un ministro del governo maggiormente sdraiato sulle posizioni americane dopo quello ucraino, e parliamo ovviamente di quello italiano, un Guido Crosetto qualsiasi si permette di fare una dichiarazione del genere: “È il momento di ragionare. Secondo me, è recuperabile senza interventi troppo duri anche perché è un colpo di Stato anomalo. Ci sono ancora troppi elementi da giudicare per muoversi, altrimenti rischiamo di fare i cowboy, nel saloon in quella parte dell’Africa non possiamo permetterci altri terremoti” RaiNews del 31 luglio, a Parigi capiscono che la NATO non si sarebbe mossa. Ma come? In Ucraina si sta difendendo la libertà e la democrazia contro l’invasione russa mentre in Niger non si difende la libertà e la democrazia contro un bieco golpe militare. Ed il governo più screditato e servo dell’Occidente si permette di fare la morale ai francesi senza essere coperto di contumelie da nessuno: questo significa che ai padroni americani il golpe in Niger non dispiace affatto. Se l’uranio del Niger non arriva più ai prezzi e nelle quantità desiderate dai francesi, si possono mettere il cuore in pace ed anche per loro c’è l’alternativa di realizzare impianti di rigassificazione ed acquistare il gas liquido americano ai prezzi che il dollaro impone, ed ai cittadini francesi di cominciare a pagare l’energia elettrica ai “prezzi europei”.

Conclusioni

Per l’Europa si aprono scenari preoccupanti, ma l’aspetto politico maggiormente pericoloso risiede nella magistrale attività dell’Intelligence americana che ha privato gli scenari politici di ogni forma di vera opposizione. La Germania rappresenta il cuore nevralgico della strategia americana, ed è il paese dove si è palesato il Partito Unico. Oggi, la domanda che si deve rivolgere ad un leader al massimo livello, ad un cancelliere oppure ad un segretario di partito è una sola, dalla quale poi discendono le conseguenze sia in politica estera, sia in quella interna, sia di quella economica: quale posizione si ha rispetto alla guerra in Ucraina? In Germania la risposta del social democratico Olaf Scholz, della verde Annalena Baerbock, della cristiano democratica Ursula von der Leyen e di mezzo partito della Linke è all’unisono: sostegno alla guerra in Ucraina fino alla fine, sostegno alle sanzioni contro la Russia anche se il conto lo paga la Germania, sostegno alla politica americana di contenimento della Cina anche se ancora il conto lo paga la Germania. La fanatica fedeltà agli Stati Uniti di questi leader è personale ed è ideologica, in quanto non solo sacrificano gli interessi tedeschi a quelli americani, ma stanno anche distruggendo i propri partiti pur di perseguire queste politiche; titola Italia Oggi del 6 settembre scorso: “Afd conquista Dresda (ex Ddr) Il Cancelliere Scholz è bocciato da 4 tedeschi su 5… In tutta la Germania, in base all’ultimo sondaggio, pubblicato dal settimanale Focus, l’Afd (Alternative für Deutschland n.d.r) sale di un punto al 22 (già toccato in altri sondaggi), più del doppio rispetto al 2021, la Cdu/Csu sale di due punti al 29, l’Spd crolla al 16, quasi dieci punti in meno in due anni, i verdi al 14, i liberali al 6. La coalizione di Berlino non avrebbe la maggioranza, e non sarebbe possibile neanche una Große Koalition, tra Cdu/Csu e Spd. A Berlino, i ministri continuano a litigare tra loro, e non si reagisce. Va sempre peggio. Solo il 19 % dà un voto positivo al governo, all’inizio di agosto era il 21. Il Cancelliere Scholz è bocciato da quasi 4 tedeschi su 5, anche da parte dei suoi socialdemocratici. I peggiori sono i verdi: solo il 17 % dà la sufficienza, il 77 li boccia, un anno fa era il 60. La preoccupazione maggiore è l’economia con il 28%, ad aprile era il 7. Segue l’immigrazione con il 26, in primavera era al 19. Metà dei tedeschi teme che nel prossimo decennio la Germania non sarà più tra i paesi leader nell’economia mondiale. Un pessimismo condiviso dagli addetti ai lavori: il 58% degli imprenditori ritiene che la Germania abbia superato il suo zenit, e sia in calo. Il 76 per cento è convinto che gli alti costi energetici porteranno alla deindustrializzazione, e la responsabilità è dei politici”. A breve anche l’opinione pubblica francese si allineerà sulle medesime posizioni di quella tedesca. Chiudiamo l’articolo con un brevissimo accenno all’Italia: questo paese va tenuto particolarmente d’occhio perché dal punto di vista della sua classe politica è quello maggiormente simile all’Ucraina. Elenchiamo alcuni elementi di similitudine: l’affinità ideologica fascistoide tra Volodimyr Zelensky e Giorgia Meloni, elemento però trascurabile; il fatto che entrambi si sono personalmente venduti alla Casa Bianca, e segnatamente alla famiglia Biden, l’italiana attraverso la mediazione del potente Mario Draghi, elemento di maggiore rilievo; la crisi economica e sociale che ovviamente si è abbattuta sull’Ucraina e che si appresta a colpire l’Italia maggiormente degli altri paesi; la totale assenza di ogni prospettiva di alternativa politica, in Ucraina perché l’opposizione è stata messa fuori legge, in Italia perché a capo dell’opposizione vi è Ely Schlein, ancor più fanatica filo americana della Meloni, e soprattutto legata a Zelensky dalla stessa ideologia sionista. Se Giorgia Meloni potrebbe avere qualche dubbio a mandare l’esercito italiano a farsi massacrare in Ucraina, Ely Schlein non ne avrebbe nessuno. Una situazione senza via d’uscita per l’Europa quindi: non è detto, in quanto la classe imprenditoriale tedesca e francese, alla quale è stato consigliato di stare tranquilli perché si sarebbe prospettato a breve l’abbuffata ucraina appena si fosse conclusa la vittoriosa controffensiva di primavera in Donbass, si stanno accorgendo di essere stati turlupinati dai vari Von der Layen Scholz, Macron ed anche Meloni, e si stanno arrabbiando, ed è vero che i mass media di regime sono di regime, ma sono di loro proprietà. Oggi sei paladino della libertà e della democrazia, domani puoi rispondere dei misteriosi sms inviati dalla Presidente della Commissione europea a Pfizer: “Commissione, ‘introvabili sms tra von der Leyen-ad Pfizer su vaccini’” Ansa del 26 giugno 2022: introvabili per noi ma non per chi li ha già trovati e messi in un cassetto.