La Repubblica di Užice. Una storia di resistenza, antifascismo, socialismo

di Gianmarco Pisa, saggista, esperto di questioni internazionali; del Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo” e del Coordinamento Nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista

Con l’aggressione nazista contro la Jugoslavia, il 6 aprile 1941, subito, nel Paese, si avviò un movimento di lotta di resistenza antifascista e di liberazione. Nel pretesto stesso dell’aggressione, del resto, era possibile rintracciare le motivazioni della resistenza all’occupazione e allo smembramento del Paese e della lotta per la autodeterminazione e la dignità: nell’offensiva nazista in Europa, nella prima fase della seconda guerra mondiale, la Jugoslavia era rimasta, infatti, l’unico Paese neutrale dell’intera regione balcanica, e solo il 25 marzo il principe Paolo Karadjordjević aveva deciso di fare aderire anche il Regno di Jugoslavia al Patto Tripartito, noto come Asse Roma-Berlino-Tokyo, formalizzando, di fatto, l’entrata in guerra del Paese al fianco dell’Asse. Appena due giorni dopo tuttavia, il 27 marzo, una vasta sollevazione popolare contro l’adesione della Jugoslavia all’Asse e contro la stipula del Patto attraversò così potentemente il Paese e scosse così profondamente la credibilità della leadership al potere, che un colpo di Stato, guidato dal generale Dušan Simović, pose sul trono Pietro II, che ritirò l’adesione al Patto. Quello stesso 27 marzo 1941 migliaia di manifestanti scesero nelle strade di Belgrado gridando slogan divenuti celebri, quali «Meglio la guerra che il patto» (Bolje rat nego pakt), «Meglio la tomba che schiavi» (Bolje grob nego rob), ripresi quindi in poster, manifesti, riproduzioni commemorative

Il ritiro della Jugoslavia dal Patto e la precipitazione degli eventi sul fronte balcanico costrinsero i nazisti a rinviare (dal 15 maggio al 22 giugno 1941) l’aggressione all’Unione Sovietica, il cui fronte si sarebbe rivelato, com’è noto, decisivo ai fini degli esiti della guerra e del destino stesso dell’Europa. Il 4 luglio 1941, giornata in cui fu proclamata l’insurrezione generale e la lotta partigiana antifascista su tutto il territorio della Jugoslavia, resta una data cruciale nelle sorti della guerra e ad essa furono dedicate non solo un’ampia memorialistica, ma anche una vasta produzione culturale e di memoriali, di cui è impossibile non citare almeno le sculture celebrative dedicate alla “Chiamata alla sollevazione” (Poziv na ustanak), opera dello scultore Vojin Bakić, la prima delle quali fu realizzata nel 1946 e poi riprodotta davanti al Museo del 4 luglio a Dedinje, Belgrado, nonché la realizzazione del museo stesso, il  Museo del 4 luglio, oggi non più attivo, propriamente un museo memoriale e un museo celebrativo. La stessa storia di Vojin Bakić è esemplare: grande scultore, espressione di primo piano tanto dell’estetica neorealista (Bjelovarac, 1946) quanto di quella modernista (Monumento alla sollevazione dei popoli di Kordun e Banija, Petrova Gora, 1981), fu artista e partigiano, arrestato nel 1942 dal regime ustaša di Ante Pavelić, subì la perdita dei quattro fratelli, uccisi nel lager di Jadovno, in Croazia.

Il Museo era dedicato agli eventi che vi ebbero luogo in occasione della sessione del Politburo del Comitato Centrale del Partito Comunista di Jugoslavia, guidato dal segretario generale Josip Broz Tito, che prese, proprio nella data memoriale del 4 luglio 1941, la storica decisione di lanciare una sollevazione generale contro l’occupante nazista e le forze collaborazioniste. Fu deciso, in quella circostanza, che le precedenti forme di resistenza, che si erano espresse essenzialmente in forma di sabotaggi, diversioni e limitate azioni di guerriglia, si sarebbero dovute immediatamente trasformare in una rivolta armata a livello nazionale; che tale lotta di popolo avrebbe assunto la forma della lotta partigiana di tutti i popoli della Jugoslavia; che i piccoli nuclei attivi sarebbero diventati il nucleo dei distaccamenti partigiani; e che, di conseguenza, sarebbe stata organizzata una resistenza su più ampia scala, azioni armate meglio definite, esponenti autorevoli del Comitato Centrale dislocati per l’organizzazione della rivolta, lo stato maggiore del distaccamento partigiano con proprie unità attive in tutte le regioni, e il Proclama della sollevazione antifascista, pubblicato il 12 luglio 1941, inviato a tutti i popoli di Jugoslavia. Iniziava così una resistenza dei popoli, nel crogiuolo della quale, con la liberazione del Paese, sarebbero state gettate le basi per una complessiva trasformazione della Jugoslavia in unità federale multietnica sulla base delle parole d’ordine del socialismo, dell’unità e della fratellanza dei popoli.

La resistenza antifascista si diffuse per il Paese e conseguì quello stesso anno uno dei primi risultati destinati a passare alla storia. Il 24 settembre 1941, infatti, la Repubblica di Užice, nella Serbia centro-occidentale, fu il primo territorio liberato nell’Europa continentale occupata dai nazisti. Si trattava di un territorio esteso, non semplicemente riducibile alla sola città di Užice: sebbene il confine fosse instabile a causa dei continui combattimenti e dei continui spostamenti della linea del fronte, nel periodo della sua massima espansione arrivò a coprire circa 19.000 chilometri quadrati (parte importante della Serbia del cosiddetto “Governatorato” insediato dagli occupanti nazisti), sul quale vivevano poco meno di un milione di persone; occupava inoltre uno spazio strategico per il collegamento del territorio con il Sangiaccato, il Montenegro e la Bosnia orientale, e da qui passava un importante corridoio sulla linea tra Serbia e Bosnia. In questa straordinaria esperienza storica di repubblica partigiana, subito dopo l’instaurazione della Repubblica, venne organizzato il governo popolare e si avviò una nuova vita politica, culturale ed economica. A Užice, nell’edificio dell’odierno Museo Nazionale, fu insediata la direzione militare e politica: il Quartier Generale e il Politburo del Comitato Centrale del Partito Comunista. Nella città liberata erano attive una tessitura, dove si producevano biancheria, tessuti e materiale sanitario, un laboratorio di sartoria per la realizzazione di tenute militari, un panificio, un calzolaio e una conceria. Le strutture erano regolarmente fornite di elettricità da tre piccole centrali idroelettriche sul fiume Djetinja. La fabbrica di armi e munizioni di Užice venne poi trasferita, nel corso di quelle settimane, in diverse località a causa della minaccia quotidiana portata dai bombardamenti e dalle incursioni naziste.

La Repubblica cadde il 29 novembre 1941 a seguito dell’operazione denominata “Užice”, la prima grande operazione di contro-insurrezione della Wehrmacht, conosciuta anche, nella storiografia jugoslava, come la Prima offensiva nemica. Con la leggendaria battaglia di Kadinjača (tra il 28 e il 29 novembre 1941), a Kadinjača, 14 km a nord-ovest di Užice, le armate naziste sopraffecero la strenua ed eroica resistenza del Battaglione Operaio che proteggeva la ritirata del Quartier Generale, che si ritirava da Užice verso il Sandžak, e la Repubblica di Užice, che cessò di esistere. Per spezzare la resistenza dei difensori di Kadinjača, i tedeschi non esitarono a inviare forze numericamente e militarmente preponderanti; ciononostante, molte furono le cariche e gli assalti nazisti respinti dai partigiani. Solo quando l’intero Battaglione Operaio cadde in combattimento, le unità tedesche riuscirono ad entrare a Užice la sera dello stesso 29 novembre 1941. A difesa della Repubblica fu chiamato il leggendario generale Koča Popović, che fu, dopo la guerra, capo di stato maggiore della JNA, la nuova Armata Popolare Jugoslava, quindi ministro degli esteri (1953) e vicepresidente della Jugoslavia (1966).

La celebrazione del coraggio e dell’eroismo dei partigiani operai è tenuta viva dallo straordinario Complesso Monumentale di Kadinjača, uno dei più grandi e sorprendenti luoghi della cultura e della memoria dell’intera Jugoslavia, una delle manifestazioni più significative e appassionanti di quel vasto filone artistico ed estetico che va sotto il nome di «modernismo socialista», una delle creazioni più tipiche e originali della Jugoslavia nel campo dell’arte e della cultura. È, al tempo stesso, una celebrazione della Resistenza, della Liberazione, e del Socialismo. Il Complesso è costituito da due articolazioni principali realizzate tra il 1952 e il 1979, dunque in momenti e fasi, storiche e artistiche, assai diverse nella storia della Jugoslavia. Nella prima fase, nel 1952, a Kadinjača fu eretto un monumento a forma di piramide, una costruzione semplice, informata alla chiarezza rappresentativa e al nitore esplicativo tipici dell’arte jugoslava di quel periodo, in cui ancora era egemone la grande tendenza del realismo socialista; questa piramide ospita l’ossario con i resti dei membri del Battaglione Operaio caduti in battaglia. Nella seconda fase, nel 1979, il Complesso andò incontro a un consistente ampliamento, grazie al progetto del grande scultore Miodrag Živković e dell’architetto Aleksandar Djokić, che ne completarono la struttura. A Miodrag Živković, grandissimo esponente del modernismo socialista, si devono alcuni tra i massimi capolavori dell’arte jugoslava: dal Monumento delle “Ali spezzate” a Kragujevac, in Serbia (1963) fino al celebrato Monumento alla Fratellanza e Unità a Prishtina, in Kosovo (1961).

In questo completamento si affacciano, di conseguenza, nuove costruzioni e nuovi simbolismi. In primo luogo, il cosiddetto “Viale del Battaglione Operaio”, accompagnato da una serie ondulata di piloni di cemento verniciato di bianco, fortemente basati a terra e con estensione obliqua dal basso verso l’alto, volti a rappresentare gli eroi, i partigiani a difesa della valle di Kadinjača. In secondo luogo, nella parte sommitale, una serie di piloni più alti, con una coppia, disposta fianco a fianco come un ampio muro, con la metà superiore forata, con un’apertura simile a un foro di proiettile, volti a rappresentare l’impatto della battaglia e l’eroismo dei difensori. Il 29 novembre è, sotto questo rispetto, una data memoriale non solo di dignità e di eroismo, ma anche di emancipazione e di vittoria. È lo stesso giorno, in cui, nel 1943, il Comitato antifascista di liberazione dei popoli della Jugoslavia (AVNOJ) nella sua seconda sessione a Jajce dichiarò che la Jugoslavia sarebbe stata, dopo la vittoria, rifondata sulla base del principio «democratico e federale» come «comunità di popoli uguali che hanno liberamente espresso il loro desiderio di vivere in Jugoslavia», uno stato plurinazionale costituito da sei repubbliche (Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Serbia, Montenegro e Macedonia) e due province autonome nel territorio della Serbia (Vojvodina e Kosovo). Tito, capo della resistenza partigiana, fu nominato capo del governo provvisorio. Il 29 novembre sarebbe stato festeggiato, negli anni a venire, in Jugoslavia, come «Giorno della Repubblica», una delle ricorrenze jugoslave più sentite e importanti. Antifascismo, democrazia, socialismo, e l’unità e la fratellanza tra i popoli, come principi indivisibili.

Qui, in corrispondenza della piramide di Kadinjača, si stagliano i versi del poeta di Užice Slavko Vukosavljević: Conoscevi, amata terra natia, che qui cadde l’intero battaglione… / Il sangue rosso fiorì / attraverso il manto nevoso, freddo e bianco. / Di notte è spazzato dal vento. Ancora a sud l’esercito avanza … / Cadde al 14. chilometro / Ma Kadinjača non cadde mai.