L’attualità rivoluzionaria di Pietro Secchia

di Rolando Giai-Levra

Intervento di Rolando Giai-Levra al Convegno sul 50° anniversario dalla morte di Pietro Secchia del 30 settembre 2023 a Milano, organizzato da “Cumpanis”, “Gramsci Oggi”, il Centro Studi “Domenico Losurdo” e la Cooperativa Aurora

Questo Convegno per il 50° dalla morte di Pietro Secchia, non è e non vuole essere la classica commemorazione del grande dirigente comunista, ma un momento politico di riflessione in grado di far rivivere nella pratica della lotta di classe, il suo pensiero e le sue indicazioni strategiche, da applicare e utilizzare oggi come strumenti per la costruzione di un Partito Comunista che si basa sul marxismo, il leninismo e il pensiero di Gramsci.

Parto da un passaggio espresso nell’introduzione fatta da Vladimiro Merlin, in relazione alla “…forma partito…”.

La concezione leninista e gramsciana definisce in modo chiaro che un Partito Comunista non può essere costruito secondo l’interpretazione soggettiva del marxismo e del leninismo, fatta da qualche “brillante e fantasioso” intellettuale o politico; ma, la costruzione di un Partito Comunista, per essere tale, deve avere una linea politica rivolta parimenti alla formazione dei quadri comunisti e alla conquista delle masse lavoratrici e popolari.

Le due cose sono inseparabili e se viene a mancare soltanto uno solo dei due elementi si costruisce qualcosa d’altro e non un Partito Comunista!

È stato l’eclettico anarco-sindacalista-socialista Fausto Bertinotti che ha teorizzato per lungo tempo l’esistenza di vari marxismi che andavano messi tutti sullo stesso piano dell’unica e vera interpretazione scientifica del materialismo storico e dialettico elaborati da Marx ed Engels e sulla concezione del partito politico della classe lavoratrice elaborata da Lenin e Gramsci e difesa con molto rigore dallo stesso Stalin. Praticamente, il danno ideologico prodotto dal “bertinottismo”, con l’aiuto anche dello stesso Armando Cossutta, non ha fatto altro che completare l’opera di demolizione del P.C.I., iniziata dalla socialdemocrazia che era annidata nel suo interno e che portò il più grande Partito Comunista dell’occidente (il P.C.I.) allo suo scioglimento.

Antonio Gramsci, fondatore del comunismo in Italia, sulla base dell’analisi teoria e sull’esperienza storica della grande rivoluzione d’ottobre e sulla base dell’analisi concreta della lotta di classe in Italia e sull’esperienza del proletariato italiano e internazionale, aveva intrapreso, non a caso, una profonda e lunga battaglia politica e ideologica contro il riformismo e il massimalismo, proprio in difesa delle caratteristiche fondamentali che doveva avere un Partito Comunista.

Per “rappresentare la classe operaia”, il riformismo di stampo socialista “turatiano”, sosteneva la necessità di costruire un Partito esclusivamente di massa guidato da una élite e basato sulle sezioni territoriali, in un rapporto subordinato al gruppo dirigente riformista della Confederazione Generale del Lavoro (la C.G.L.) che, a sua volta, poggiava sugli organismi delle “Commissioni Interne” in fabbrica e basandosi su una visione esclusivamente elettoralistica per poter cambiare gradualmente la società capitalistica.

Da parte sua, per “rappresentare la classe operaia”, il massimalismo di stampo “bordighiano” sosteneva la necessità di costruire un Partito esclusivamente di quadri basato su un rapporto sindacale di natura “soreliana”, che sottovalutava la funzione rivoluzionaria dei Consigli di Fabbrica, considerati dei meri strumenti sindacali e non di potere della classe lavoratrice. Nel contempo, considerava anche le cellule di produzione e di fabbrica, indicate da Lenin e da Gramsci, non come forma fondamentale di base per l’organizzazione di un Partito Comunista ma come strumento e veicolo di corporativismo politico nella classe operaia. Quindi, una visione dogmatica e settaria di un Partito Comunista.

Gramsci, al contrario dei riformisti e dei massimalisti considerava la necessità di costruire un partito di massa e di quadri, basato sulle cellule di produzione e di territorio e sui Consigli di Fabbrica come organi di potere della classe operaia per rivoluzionare e capovolgere i rapporti di produzione capitalistici senza influenze dettate dalle illusioni elettoralistiche del riformismo; ma, anche del massimalismo. Soprattutto, questo partito non doveva essere composto da una “élite” che dichiarava di rappresentare la classe operaia; ma, doveva essere un Partito Politico che era una parte organica della classe operaia, ovvero, come analizzato e indicato da Lenin, il reparto d’avanguardia della classe operaia!

Ed è da questo punto politico che passo al grande dirigente e comandante comunista Pietro Secchia che, da coerente e fedele sostenitore delle Tesi di Lione, aveva una netta e chiara visione leninista e gramsciana nella costruzione del Partito Comunista, il quale doveva essere fortemente radicato nella classe operaia, tra le masse popolari e nei territori con un forte gruppo dirigente di veri quadri comunisti.

Voglio ricordare che la formazione di Pietro Secchia da giovane, si era temprata partecipando agli scioperi del biennio rosso del 1919 e 1920 e nella militanza nel nuovo Partito Comunista d’Italia, in cui divenne membro del Comitato Centrale nel 1928. Dopo l’arresto e la sua carcerazione decisa dal Tribunale Speciale fascista, nel 1943  fu liberato e partecipò subito alla Resistenza entrando a far parte del Comando generale delle Brigate d’assalto Garibaldi.

Nel VI° Congresso Nazionale del P.C.I., svolto a Milano nel Gennaio del 1948, fu eletto Vicesegretario Generale e questa carica la mantenne fino al 1955. Va ricordato, altresì, che dal 1946 al 1954 Pietro Secchia aveva la carica di responsabile dell’organizzazione e del settore Propaganda del Partito Comunista Italiano. In quel periodo, sotto la sua direzione politica e organizzativa, il P.C.I. raggiunse il suo massimo livello storico di iscritti e di radicamento sociale.

Nella veste di responsabile dell’organizzazione, investì la massima attenzione politica anche contro i rischi, sempre presenti in una società capitalistica, di un eventuale colpo di Stato di destra in chiave anticomunista, adeguando nel miglior modo e con una articolata preparazione l’intera organizzazione del partito ad essere pronta a difendersi da una tale pericolosa eventualità.

A causa della sua coerente visione marxista, leninista e gramsciana, dal 1954 venne poco alla volta emarginato nel partito e la responsabilità dell’organizzazione (che è un posto chiave e strategico per un Partito Comunista) venne data al riformista e socialdemocratico Giorgio Amendola, da sempre teorizzatore e sostenitore dell’Unità organica con i riformisti socialisti.

Pietro Secchia ha lasciato un grande contributo teorico, politico e organizzativo ai comunisti italiani e nel mondo. Alla vigilia del VI° Congresso Nazionale del P.C.I., in un’intervista rilasciata al quotidiano comunista “l’Unità” del 3 gennaio del 1948, nella sua qualità di dirigente comunista responsabile dell’organizzazione del Partito, Pietro Secchia diceva che alla fine del 1944 il Partito contava 401.960 iscritti e nel V° Congresso alla fine del 1945, gli iscritti erano saliti a 1.778.836 e al 30 settembre del 1946 gli iscritti erano diventati 2.068.282. Il 30 settembre del 1947 gli iscritti aumentano ancora di numero a 2.252.716. I dati degli iscritti nelle organizzazioni presenti nell’Italia meridionale e nelle isole, erano cresciuti al 20,55% rispetto al 16,5% del periodo precedente. La presenza delle donne era aumentata a 455.607 rappresentando il 23,5% degli iscritti del Partito. I giovani iscritti aumentavano a 362.223 rappresentando ben il 13% dell’intera popolazione giovanile italiana. La composizione sociale del Partito era formata da operai d’industria per il 45%, da braccianti e salariati agricoli per il 17%, per un totale del 62% tra operai, braccianti e salariati agricoli; poi c’erano i contadini, i mezzadri e i fittavoli per il 16%, gli artigiani, gli esercenti e gli imprenditori per il 5,6%, gli impiegati, gli studenti, i professionisti e gli intellettuali per il 4,8%, e infine le donne casalinghe per il 9,5%. Come possiamo notare dai dati descritti la composizione di classe era nettamente maggioritaria nell’organizzazione e si diramava in tutti i livelli del Partito, fino ai massimi livelli dirigenziali. 

Sempre nella stessa intervista de “l’Unità”, Pietro Secchia dice ancora che al suo VI° Congresso, il Partito contava ben 50.903 cellule in confronto alle 35.637 che c’erano nel del 1946. Con le cellule di strada e i nuclei di caseggiato, egli dice, era stata data all’organizzazione una più profonda capillarità, una maggior capacità di lavoro, di mobilitazione e di penetrazione tra le masse. Anche le sezioni erano aumentate da 8.656 a 9.947; ma egli dava un’impostazione e un ruolo alle sezioni ben diverso dal modello del riformismo e della socialdemocrazia; cioè, un momento di coordinamento non decisionale del tutto secondario e subordinato alle cellule comuniste di produzione.

Alla domanda del giornalista, quale fosse il problema fondamentale che si presentava in quel momento al P.C.I. nel suo VI° Congresso Nazionale, Pietro Secchia risponde: “[…] È il problema di come riuscire con un Partito così grande e con un numero relativamente ristretto di quadri dirigenti a dare un sufficiente contributo da parte del centro all’iniziativa politica delle organizzazioni periferiche.[…] Noi abbiamo costruito un grande Partito di massa, ma dobbiamo ancora molto operare per fare acquistare al Partito anche le qualità di un Partito di quadri, per aumentare la sua capacità combattiva e operativa.[…] Dobbiamo andare adagio nell’aumentare i gradini (le istanze intermedie), per non aumentare la distanza tra centro e base.[…]”. Cosa che invece aveva fatto il P.C.I. nei suoi ultimi anni di vita (con le sezioni, le zone, le interzone, i coordinamenti metropolitani, le regioni e con vari e inutili coordinamenti per la classe lavoratrice e dando poteri decisionali a tali strutture).

Per quanto riguarda anche la qualità di un Partito di quadri di cui parlava Pietro Secchia, dai dati rilevati dalla rivista “Rinascita” del gennaio del 1948, risulta che in nel periodo dal V° al VI° Congresso, l’organizzazione delle Scuole del Partito per la formazione dei Quadri Comunisti, dava vita a 10 corsi nelle scuole Centrali del Partito frequentati complessivamente da 344 allievi (di cui 102 donne e 242 uomini). I corsi avevano una durata di 4 mesi di studio consecutivo, che poi si rese necessario prolungare a 5 o 6 mesi. I programmi dei corsi comprendevano: – Una parte Storica, su: Storia d’Italia – Storia del Partito Bolscevico – Storia del P.C.I. – Una parte Teorica, su: marxismo-leninismo – materialismo dialettico e storico – economia politica – Una parte Pratica, su: questioni d’organizzazione – linea politica di quel momento del P.C.I. – movimento operaio. Parallelamente a questi corsi centrali di partito si tenevano anche corsi di studio per la formazione a livello regionale, provinciale e intersezionale (questo è un esempio concreto di un compito che Pietro Secchia aveva affidato alle regioni e alle sezioni). Questo dimostra l’alto livello d’attenzione che Pietro secchia rivolgeva all’Organizzazione Comunista nei luoghi di lavoro e nei territori e alla formazione dei Quadri Comunisti.

In un suo articolo pubblicato su “Rinascita” del mese di dicembre del 1945, Pietro Secchia aveva scritto che: ”[…] La formazione e lo sviluppo dei quadri è il compito fondamentale di un’organizzazione, l’utilizzazione di tutte le forze di cui il partito dispone, saper aumentare giorno per giorno queste forze ed il loro rendimento, riuscire ad indurre ogni compagno a migliorarsi quotidianamente e ad impegnare tutta la sua volontà tutte le sue energie fisiche ed intellettuali nell’interesse del partito, nella realizzazione della linea politica del partito: in questo consiste essenzialmente l’arte dell’organizzazione […]”.
Oggi, tutte le indicazioni date da Pietro Secchia sul piano politico e organizzativo, sono fondamentali per tutti i comunisti perché, mettono in evidenza la necessità di dover ripartire in modo coerente dai luoghi di lavoro e di produzione in cui è concentrato il conflitto di classe e la contraddizione principale tra capitale e lavoro. E pongono l’obiettivo strategico di ricostruire le cellule comuniste come forma di base dell’organizzazione del Partito; perché, come dice Gramsci, le cellule rappresentano non solo una necessità tecnica di vitale importanza per la crescita dell’organizzazione comunista, ma un indispensabile obiettivo politico strategico per il radicamento di classe in relazione alla questione della direzione delle masse lavoratrici e popolari.

A confermare questo elemento teorico di Gramsci sono alcuni dati, rilevati dal Bollettino “Istruzioni e direttive di lavoro” della Direzione del P.C.I. n.18 del mese di agosto del 1949, che confermano quanto era già stato riportato dall’intervista de “l’Unità” a Pietro Secchia che prima ho citato, dimostrando l’ulteriore sviluppo che il Partito Comunista Italiano aveva avuto sotto la sua direzione politica e organizzativa.

Infatti, in quei difficilissimi momenti politici che stava attraversando il Paese, la sapiente, forte e coerente direzione politica di Pietro Secchia fece crescere la diffusione del quotidiano “l’Unità” da 366.125 copie giornaliere a 506.654 e da 444.798 copie domenicali a 900.000, segno di un partito vivo profondamente radicato che era in grado di dare risposte all’altezza della situazione politica generale.

Contemporaneamente, cresceva l’influenza e l’egemonia dell’organizzazione comunista nei luoghi di lavoro e di produzione dal 30% al 72% fra gli operai delle grandi industrie italiane e in diverse altre fabbriche. In molte situazioni lavorative gli iscritti operai al partito raggiungevano anche il 50% della forza-lavoro. Non a caso, il VII° Congresso del P.C.I. tenuto a Roma nel mese di aprile del 1951 aveva una platea di delegati formata dal 40,23% di operai; mentre la dimensione organizzativa del Partito Comunista aveva raggiunto il massimo livello storico con 2.580.765 iscritti e con 52.481 cellule di cui 11.272 di fabbrica e 12.226 cellule femminili. Questi dati sono stati rilevati dalla stessa “Risoluzione Organizzativa” dello stesso Congresso. Infine, nel 1953 viene tenuto a Milano un Convegno specifico sui giornali di fabbrica con la partecipazione di oltre 250 rappresentanti di 160 testate di giornali redatti da operai, impiegati e tecnici della sola provincia di Milano.

Questo è il quadro politico e organizzativo che evidenzia il livello di radicamento che aveva raggiunto il Partito Comunista Italiano con Pietro Secchia. Deve essere ricordato che, grazie a questa forte presenza organizzata e radicata nei luoghi di lavoro, di produzione e nei territori, si era creata la condizione migliore che favorì la formazione dei primi Delegati di Reparto negli anni ’60 che hanno dato vita poi al grande movimento dei Consigli di fabbrica che aveva raggiunto il suo apice nel famoso “autunno caldo” del 1969.

Le cellule comuniste in fabbrica, nei territori e nelle Università sono sempre state al centro della vita politica e organizzativa come struttura di base previste negli statuti del P.C.I. fino al 17° Congresso del 1986, anche se dalla fine degli anni ’70 le cellule erano state sopraffatte dalle sezioni territoriali. Da allora nessun altro statuto ha reintrodotto gli articoli relativi alla costruzione delle cellule, cancellando definitivamente ciò che prevedeva il punto 29 delle Tesi del III Congresso del PCd’I a Lione nel 1926; in cui vi è scritto che la cellula: “[…] In prima linea è un problema politico: quello della base della organizzazione. La organizzazione del partito deve essere costruita sulla base della produzione e quindi del luogo di lavoro (cellule). […] Esso dipende dal fatto che il partito deve essere attrezzato per dirigere il movimento di massa della classe operaia, la quale viene naturalmente unificata dallo sviluppo del capitalismo secondo il processo della produzione. Ponendo la base organizzativa nel luogo della produzione il partito compie un atto di scelta della classe sulla quale esso si basa. Esso proclama di essere un partito di classe e il partito di una sola classe, la classe operaia. […]”.

I comunisti di tutto il mondo non possono dimenticare che, nel gennaio del 1972, Pietro Secchia venne chiamato da Salvador Allende a tenere un grande comizio che avvertiva i forti pericoli in corso per quel grande Paese latino-americano in cui affioravano in superficie molti ed evidenti elementi politici che era in corso la preparazione di un possibile e terribile colpo di stato fascista, che infatti venne realizzato dal generale Augusto Pinochet sostenuto dai servizi segreti (CIA) e dal governo dell’imperialismo U.S.A., instaurando una feroce e sanguinaria dittatura militare che durò fino al 1990 in Cile. Al suo ritorno in Italia, Pietro Secchia fu colto da una “strana malattia” che durò per diversi mesi e si scoprì che fu avvelenato dalla CIA, il che lo portò alla morte nel luglio del 1973.

In definitiva, Pietro Secchia ci ha lasciato una grande eredità ideologica, politica e organizzativa, insegnandoci che occorre porre al centro della politica la classe operaia, il lavoro, la produzione e il pensiero comunista marxista-leninista e gramsciano, quali nostri irrinunciabili riferimenti di classe.

Senza questi elementi è difficile pensare di costruire un vero Partito Comunista organico alla classe lavoratrice, in grado di combattere tutte le deviazioni ideologiche prodotte dalla borghesia, dal riformismo e dal massimalismo, in grado di contrattaccare con coerenza sul piano economico e politico le offensive del grande capitale e della borghesia, in grado di lottare per la costruzione di una Società Socialista in Italia.

Note e riferimenti:

Intervista del quotidiano comunista “l’Unità” del 3 gennaio 1948 fatta a Pietro Secchia alla vigilia del VI° Congresso Nazionale del P.C.I.
https://archivio.unita.news/
Dall’articolo pubblicato su Rinascita n.1 gennaio 1948
https://www.bibliotecaginobianco.it/?e=flip&id=36
https://www.bibliotecaginobianco.it/flip/RIN/05/0100/?#38/z
Bollettino n.18 – “Istruzioni e direttive di lavoro” della Direzione del P.C.I.– “Il Partito elemento decisivo per far avanzare la democrazia”. Agosto 1949.
Bollettino n.12 – “Istruzioni e direttive di lavoro” della Direzione del P.C.I. del 31.05.1951.
“Per l’aumento dei giornali di fabbrica e di azienda”, in Bollettino n.1- “Istruzioni e direttive di lavoro” del mese di gennaio 1954, a cura delle Sezioni: stampa e propaganda, lavoro di massa e culturale della Direzione del P.C.I.
https://www.archivipci.it/periodici/lordine-nuovo-2/
Rivista Comunista “L’Ordine Nuovo” 1919-1920 fondato da Antonio Gramsci
https://archivio.unita.news/
Archivio storico on line del Quotidiano “l’Unità” del P.C.I.
https://www.archivipci.it/periodici/lordine-nuovo-3/
Rivista Comunista “L’Ordine Nuovo” 1921-1922 del P.C.d’I.
https://www.archivipci.it/periodici/lordine-nuovo-4/
Rivista Comunista “L’Ordine Nuovo” 1924-1925 del P.C.d’I.
https://www.archivipci.it/periodici/lunita-quotidiano-degli-operai-e-dei-contadini/
Quotidiano Comunista “l’Unità” del P.C.I. dal 1924 al 1939
https://www.bibliotecaginobianco.it/?e=flip&id=36
Rivista Comunista “Rinascita” del P.C.I.
Numeri dal n. 1 mese di Giugno 1944 al n. 51 del Mese di Dicembre 1970
https://www.bibliotecaginobianco.it/?e=flip&id=36
https://www.bibliotecaginobianco.it/flip/RIN/05/0100/?#38/z