Di Ascanio Bernardeschi *
I palestinesi hanno subito 75 anni di violenza in cui sono morti a decine di migliaia. Anni fatti di espansione delle colonie ebraiche nella regione loro assegnata, fino a prendersi quasi l’80 per cento del territorio originariamente della Palestina, omicidi dei propri massimi dirigenti, espulsione di massa di molte centinaia di migliaia di persone, distruzione di case e olivi, privazione dell’acqua, frammentazione del territorio in una sorta di bantustan non comunicanti fra di loro. La stessa Gaza, ermeticamente chiusa da ogni lato, compreso il mare, con inibizione perfino della pesca al largo, è separata dal resto della Palestina e le riunioni del Parlamento palestinese sono pressoché impossibili. Negli anni oltre 500 villaggi sono stati distrutti. La violenza e le provocazioni dei coloni in Cisgiordania sono quotidiane e gli stessi arabi che vivono nella “democratica” Israele sono discriminati per legge. Numerosissime risoluzioni dell’Onu, che prevedono per i Palestinesi uno Stato autonomo con capitale Gerusalemme Est, sono state lettera morta e Israele per tutta risposta ha aperto proprio a Gerusalemme Est uffici pubblici in vista dello spostamento della sua capitale nell’intera città. Gli Stati Uniti, che hanno armato fino ai denti questo Stato per farne il gendarme del Medio Oriente, aiutandolo anche a dotarsi dell’atomica, hanno assecondato questa politica spostando a Gerusalemme Est la propria ambasciata. I palestinesi cacciati dalle loro terre vivono in esilio o in campi profughi disseminati in tutta la Plaestina. Generazioni di bambini sono nate durante l’occupazione o in esilio, migliaia di questi bambini sono morti sotto i colpi di Israele o dei coloni ebrei. Più volte il popolo palestinese ha dovuto subire l’umiliazione della violazione di luoghi per lui sacri.
Gli attacchi militari israeliani sono stati costanti: ricorrenti invasioni, raid e omicidi nella Cisgiordania occupata, bombardamenti di massa nella Striscia di Gaza.
A fronte di questa oppressione i Palestinesi hanno reagito con protese, petizioni, marce, appelli all’Onu o alla Corte internazionale di giustizia, e si sono coordinati con organismi internazionali che sostengono la loro lotta. Io stesso sono stato in missione in Palestina con una delegazione di amministratori pubblici e ho potuto visitare solo clandestinamente alcune città chiuse dal coprifuoco all’indomani dell’11 settembre del 2001, quando il capo dell’Autorità palestinese, Yasser Arafat, successivamente assassinato, viveva rinchiuso in un edificio circondato della capitale provvisoria, Ramallah, e il giorno prima era avvenuta un’orrenda strage nel campo profughi di Jenin, dove non potemmo giungere perché intercettati da un carro armato, subendo una sventagliata intimidatoria di colpi di mitra diretti ai nostri piedi.
La Resistenza non poteva non contemplare anche la legittima violenza ma, poco o per niente armata, spesso ricorrendo al lancio di sole pietre contro i carri armati, oppure ad attentati suicidi che però determinavano sempre una reazione violentissima di Israele, era incapace di conseguire risultati apprezzabili. Alle inefficaci azioni militari di Hamas dalla striscia di Gaza con missili artigianali che raramente raggiungevano qualche bersaglio, seguiva puntualmente una risposta violentissima dell’esercito israeliano, che distruggeva abitazioni e infrastrutture, comprese quelle finanziate da organismi internazionali e dalla stessa Unione Europea, attuando un vero e proprio genocidio.
Va detto anche che il popolo palestinese è stato, fino a poco più di 10 anni fa, fra i più laici del Medio Oriente e che Israele ha fatto di tutto per screditare la sua espressione politica laica allora maggioritaria, l’Olp di Arafat, respingendo ogni proposta di soluzione del problema palestinese secondo le infinite risoluzioni dell’Onu. Sempre per lo stesso scopo di screditare l’Olp, ha favorito e finanziato, insieme agli Stati Uniti, Hamas, così come gli Usa hanno fatto, in funzione della divisione violenta dei popoli arabi, a favore di alcune fazioni fondamentaliste islamiche del Medio Oriente, quali i Talebani e l’Isis.
È inutile che l’Occidente versi lacrime di coccodrillo e si lamenti che, di fronte al fallimento della linea moderata, ora prevalga Hamas. Dov’erano le anime belle che si scandalizzano per la violenza quando una violenza ben maggiore la scatenava Israele? Poteva essere tollerato da un intero popolo andare verso la sua cancellazione senza reagire?
Quando il rapporto di forze è squilibrato è normale che la parte meno forte, per non soccombere, usi metodi diversi da quelli di una guerra convenzionale. È il risultato di un regime imposto con la violenza che non può che generare violenza, come è avvenuto in altre situazioni di occupazione coloniale in molte aree del mondo. Si fa presto a deprecare quando abbiamo la pancia piena, non abbiamo sulla testa la spada di Damocle dei bombardamenti e non siamo nati e vissuti sotto il terrore e sotto la negazione del valore della vita.
Se Hamas colpisce i civili, secondo il diritto internazionale, compie un’azione illegittima e non me ne rallegro. Ma questa violazione del diritto va contestualizzata, perché prima, per decenni e di routine è Israele che ha compiuto queste azioni, violando anche l’altra norma secondo cui uno stato occupante dovrebbe provvedere alla popolazione del territorio occupato. Ma la quasi totalità dei nostri politici e dei nostri media non ha mai condannato il regime sionista.
Il 7 ottobre, alla fine di una settimana in cui i coloni, sostenuti dal governo, si sono scatenati in tutti i territori occupati, hanno profanato la moschea di Al-Aqsa e compiuto un’altra azione persecutoria nei confronti dei musulmani a Huwara, è avvenuto un fatto imprevisto. Il recinto intorno alla striscia di Gaza è stato infranto in molti punti e numerosi palestinesi, a piedi o a bordo motociclette e altri veicoli, oppure scavalcando le fortificazioni con deltaplani, dotati di armi, seppure molto meno letali di quelle del nemico, in grado comunque di infliggergli danni e supportati dal lancio di missili, per lo più rudimentali ma numerosissimi (500 solo il primo giorno a detta dell’esercito israeliano), si sono spinti all’interno del territorio di Israele (in realtà della ex Palestina) per alcuni chilometri e hanno conquistato temporaneamente alcuni presidi militari, prelevandovi altre armi. Colti di sorpresa alcuni soldati e ufficiali israeliani sono stati fatti prigionieri insieme a civili e sono stati trasferiti a Gaza per diventare eventuale merce di scambio con i prigionieri palestinesi e anche nella vana speranza di dissuadere Israele dal bombardare indiscriminatamente la regione. Altri palestinesi, probabilmente vocati a divenire martiri, sono infiltrati nel territorio israeliano, talvolta prelevando divise militari e creando conseguentemente caos fra le file nemiche che, non sapendo chi avevano davanti, in alcuni casi hanno sparato a connazionali.
Pare che i servizi di intelligence israeliani, fino a ieri considerati molto efficienti, non abbiano previsto questa mossa e siano caduti in una trappola orchestrata da Hamas che aveva permesso loro l’accesso alla propria rete di comunicazione, inserendovi però informazioni false. Un’altra tesi è che in realtà i servizi abbiano finto di non sapere e abbiano permesso l’avvio dell’operazione al fine di avere il pretesto di distruggere completamente l’insediamento di Gaza, come hanno già promesso e come pare stiano facendo. Si sarebbe in sostanza legittimato l’uso della forza come fu all’indomani della distruzione delle torri gemelle a Manhattan. Non a caso si sta parlando dell’11 settembre di Israele.
Mentre nei territori occupati ancora si sta combattendo, il Ministro della Difesa israeliano ha dichiarato, senza timore di essere tacciato da razzista: “Ho ordinato il blocco completo della Striscia di Gaza. Non ci sarà elettricità, né cibo, né carburante. Tutto è chiuso. Stiamo combattendo gli animali umani e siamo agendo di conseguenza”. Successivamente è stata bloccata anche l’erogazione dell’acqua. I bombardamenti israeliani non risparmiano scuole, ospedali e campi profughi dove vivono ammassati milioni di palestinesi (Gaza ha una superficie che è circa un quarto del comune di Roma, ma vi vivono tre milioni di persone, di cui circa la metà bambini), il tutto in preparazione dell’invasione di quel territorio martoriato, che sarà un massacro. L’ipocrisia degli oppressori si è spinta al punto di invitare i civili a uscire da Gaza, per evitare di essere uccisi o di morire di stenti, quando essi stessi non hanno fin qui permesso l’apertura di corridoi umanitari per consentire l’esodo e per portare i soccorsi.
La lotta, nonostante l’effetto sorpresa, resta impari (Israele è la quarta potenza militare al mondo) e sono molte le probabilità che si concluda con l’ennesima sconfitta, mentre con certezza si stanno verificando pesantissime conseguenze per la popolazione di Gaza. Ma per la prima volta non muoiono solo i palestinesi, Israele non si è dimostrata così invincibile come pareva e, comunque vada a finire, la resistenza non potrà essere schiacciata per sempre e si apre in Medio Oriente una fase rilancio di forti lotte contro lo stato sionista.
Non sono molte, a mio modo di vedere, le probabilità che questa drammatica vicenda induca il governo israeliano a rivedere la sua politica prima di cacciarsi in un vicolo cieco e che si renda disponibile a una soluzione giusta del problema palestinese nell’interesse dei suo stesso popolo. Più probabilmente, prevarrà ancora l’opzione della forza.
Per ora va registrato che quello della forza è l’orientamento degli Stati Uniti i quali hanno inviato una nutrita flotta di portaerei, incrociatori e cacciatorpediniere al largo delle coste di Israele, nonché decine di caccia F-35 e F-15, bombardieri strategici B52H e migliaia di soldati a sostegno dell’impegno militare di Israele che ha ammassato ingenti quantità di corazzati ai confini di Gaza, in preparazione dell’invasione.
Per gli Staes, che già nella loro storia si sono macchiati di immensi crimini, partecipare anche a questa carneficina sarebbe cosa normale, come è stato normale che autorevoli suoi uomini politici abbiano incitato Israele a spianare per sempre Gaza. Da qui la domanda dello stesso alleato NATO, la Turchia, per voce del Presidente Erdogan: “Perché la portaerei americana viene in Israele? A quale scopo? Che cosa vogliono fare esattamente? Colpiranno Gaza con i loro aerei da guerra e commetteranno un massacro?”.
Tuttavia questa strategia militare statunitense, che è un tentativo di rimediare alla sua perdita di peso sul terreno economico, si sta dimostrando fallimentare, visto che sempre più nazioni si rivolgono ai Brics, determinando un isolamento dell’Occidente dal resto del mondo, che in Afghanistan la superpotenza è stata piegata e che e che in Ucraina non sa che pesci prendere per evitare l’ennesima figuraccia.
La vicenda di questa improvvisa esplosione della resistenza palestinese non poteva restare circoscritta. Si sono verificati scontri tra palestinesi e forze di sicurezza israeliane a Gerusalemme Est, compresi grandi campi profughi e a Hebron, nei pressi di alcuni dei numerosi checkpoint e in alcune colonie in Cisgiordania, nonché al confine di Israele con il Libano, a nord, dove Hezbollah, legata all’Iran e ritenuta ben armata e addestrata, ha espresso solidarietà con i palestinesi, ha lanciato razzi e missili nel territorio israeliano e si appronta a entrare nel conflitto col proprio esercito. L’Iran ha ricevuto minacce di gravissime ritorsioni se Hezbollah entrerà in guerra: “l’Iran ha 4 grandi raffinerie, e se Hezbollah attaccasse Israele, coordineremo gli sforzi statunitensi e israeliani per escludere l’Iran dal business del petrolio distruggendo le sue raffinerie. Sono il nostro obiettivo”, ha affermato Lindsay Graham, Senatore della Carolina del Sud. Lo stesso Biden ha avvertito l’Iran di “fare attenzione”, mentre le tensioni in Medio Oriente continuano ad aumentare, manifestazione scontri con le forze dell’ordine avvengono quotidianamente negli stati arabi e in Cisgiordania.
Quasi tutti i leader politici e quasi tutta la stampa italiana e occidentale hanno presentato gli eventi degli ultimi giorni solo come un’aggressione parte di Hamas – in realtà vi partecipano anche diverse altre milizie palestinesi – sottacendo del tutto, come è stato nel caso della guerra in Ucraina, i precedenti di questo conflitto. L’Occidente all’unisono si schiera con Israele, nonostante al proprio interno diverse manifestazioni abbiano espresso solidarietà con la Palestina.
In Francia, in Germania, in Inghilterra sono stati adottati provvedimenti che vietano le manifestazioni pro Palestina. I governi di questi paesi hanno chiaro che il declino dell’impero americano, l’emergere di nuove potenze in Asia che adottano modelli alternativi al neoliberismo, i processi di decolonizzazione nelle ex colonie francesi avranno forti ricadute in Occidente e nell’imperialismo transnazionale. Gli interessi imperialistici si associano alle radici razzistiche del liberalismo, secondo cui l’umanità si divide in due categorie: il “giardino”, cioè gli uomini “liberi”, e “la jungla”, i selvaggi sub-umani che sarebbero il resto, maggioritario, dell’umanità. Al posto della razza si è messa la retorica della democrazia, al posto dei campi di sterminio si è messa Gaza, un immenso campo di concentramento dove è consentito vivere di stenti, se la fortuna lo permette, ma poco cambia.
Si oppone a questo atteggiamento il mondo arabo – sia gli stati più fermamente filo palestinesi, sia quelli “moderati”, evidentemente preoccupati di non urtare gli umori delle proprie popolazioni – che si compatta in favore del popolo palestinese. Per esempio l’assistenza medica del confinante Egitto è stata inviata a Gaza, nonostante la chiusura di quel confine, mentre l’Arabia Saudita, che già, con l’intermediazione della Cina, aveva ristabilito rapporti con l’Iran, ha deciso di porre fine ai negoziati che erano stati avviati per normalizzare le relazioni con Israele. Ma anche in America Latina, in Africa e in Asia la maggior parte dei paesi si è dissociata dalla narrazione delle potenze occidentali.
Se dopo questo conflitto le cose non resteranno come prima e si aprirà uno spiraglio di giustizia per i palestinesi, sarà una sconfitta di Israele ma anche del suo maggiore alleato, gli Stati Uniti, perché il suo ruolo già declinante in Medio Oriente e nel mondo in generale subirà un altro colpo.
A causa della nuova situazione è probabile che parte degli aiuti militari destinati all’Ucraina vengano inviati urgentemente in Israele, lasciando a sé stesso il Paese che avrebbe dovuto, con gli aiuti Nato, spezzare le reni alla Russia e che invece sta perdendo la guerra, mentre le reni se l’è trovate spezzate l’Europa. A proposito di Ucraina, insistenti voci che non sono in grado di verificare asseriscono che buona parte degli armamenti in dotazione di Hamas sono proprio quelli provenienti, attraverso triangolazioni e ricorso al mercato nero, da quel paese. Quello che è certo che molte di queste armi sono di provenienza occidentale e pare anche provengano dal bottino degli Usa in Afghanistan.
L’Italia, che colpevolmente non ha mai riconosciuto lo Stato palestinese, si è nuovamente ricoperta di vergogna appoggiando incondizionatamente Israele. Al coro di condanna di Hamas si è associata anche la vicepresidente piddina del Parlamento Europeo che ha voluto strafare elogiando Israele per le “lezioni” che dà di “libertà e progresso” contro la “barbarie”. Purtroppo anche la Cgil dal palco della grande manifestazione romana del 7 ottobre, per bocca di Maurizio Landini, ha “Condannato in modo esplicito ciò che ha fatto Hamas contro il popolo israeliano”, senza dedicare una parola di condanna alla politica criminale di Israele e, in questo quadro, è assordante anche il silenzio tenuto da Michele Santoro fino al 10 ottobre, quando ha rilasciato un’intervista a “l’Unità” in cui, pur auspicando una pace giusta e non il macello di Gaza, ha avuto toni di compassione per i giovani civili israeliani uccisi; “quei giovani israeliani uccisi o rapiti al rave party hanno le stesse sembianze dei nostri figli. Li sentiamo vicinissimi a noi”, ha affermato. Ma non ha dedicato altrettanta pietà e sdegno per i tantissimi civili, comprese donne e bambini, vittime della violenza israeliana. Le sue posizioni successive di condanna delle politiche di Israele sono comunque rimaste equanimi nel condannare anche Hamas, evitando con ciò di dire dove stanno le responsabilità fondamentali di questo macello. Eppure questa guerra si inserisce nel quadro, che egli ha ben presente, di cambiamenti profondi nei rapporti internazionali, con gli Stati Uniti impegnati a difesa della loro supremazia sul fronte russo per interposta Ucraina, su quello cinese per interposta Taiwan e ora di nuovo su quello mediorientale per interposta Israele. Naturalmente il cordoglio per le vittime civili sia palestinesi che israeliane è d’obbligo, ma ignorare le responsabilità primarie di questa violenza dimostra in alcuni casi inconsistenza politica, in altri il più meschino e cinico opportunismo.
Russia e Cina, invece, hanno mantenuto un tono utile a favorire una soluzione pacifica della questione palestinese, auspicando l’attuazione delle decisioni in merito delle Nazioni Unite.
Crediamo che questa sia l’unica via ragionevole di uscita da un conflitto che sta massacrando e riducendo in condizioni invivibili un intero popolo.
Ma se i toni sobri si addicono a potenze che hanno in mano le sorti di miliardi di persone, come militanti comunisti non possiamo che esprimere solidarietà verso il popolo palestinese, nonostante che in questa fase, anche per ben precise responsabilità del mondo “civile”, in maggioranza si riconosca in una forza, Hamas, su basi religiose reazionarie. Il diritto internazionale prevede che la resistenza armata sia legittima contro l’occupazione straniera o contro regimi che violano i diritti umani. Per questo siamo con la resistenza palestinese.
* del Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo”