Guerra? Salario? Diritti? I dipendenti pubblici non possono più parlarne!

Intervista a Federico Giusti, delegato sindacale della Cub e collaboratore di “Cumpanis”, sul nuovo decreto del Presidente della Repubblica in merito ai comportamenti del personale della Pubblica Amministrazione.

D. La Flc – Cgil ha impugnato il decreto e citiamo testualmente dal loro comunicato: “È in atto nel Paese una vera e propria iniziativa cultural/giuridica tesa a rimuovere e comprimere spazi di discussione, espressione, manifestazione delle proprie idee, dei propri contenuti. Con questo obiettivo, il Governo ha varato la modifica del codice di comportamento dei dipendenti pubblici con il DPR 81/2023. Il provvedimento ha lo scopo di perseguire, inasprendo le sanzioni, i comportamenti e le opinioni ritenute nocive per il prestigio, il decoro, l’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale, siano esse manifestate attraverso i social media o altri canali”. Che ne pensi?

R. Il decreto del Presidente della Repubblica in merito ai comportamenti dei dipendenti pubblici deve essere ritirato, perché lede le libertà democratiche e il diritto di parola e di critica del singolo dipendente, si mira letteralmente a tappare la bocca alla forza lavoro arrivando a vietarne l’utilizzo dei social. E il codice potrà essere utilizzato all’occorrenza per aprire una campagna inquisitoria e repressiva contro delegati e lavoratori scomodi.
È a dir poco preoccupante la riscrittura delle norme di comportamento all’insegna della fedeltà assoluta al datore di lavoro, vietando nel tempo libero la libertà di espressione. Forse perché l’idea alla base di questo atto è quella di una società nella quale si lavori e basta recando cieca obbedienza ai datori pubblici e privati. Siamo ancora padroni del nostro tempo libero e vogliamo scegliere di dedicarlo al miglioramento delle nostre condizioni di vita e di lavoro, obiettivi per raggiungere i quali il diritto alla critica e alla libertà di opinione sono indispensabili.
Per essere chiari vogliamo citare alcuni articoli rinviando i lettori alla diretta lettura del testo (Decreto del Presidente della Repubblica 81, del 13 giugno 2023 – Codice di comportamento dei dipendenti pubblici ). Cita, dunque, il testo:
“il dipendente è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale. Al fine di garantirne i necessari profili di riservatezza le comunicazioni, afferenti direttamente o indirettamente il servizio non si svolgono, di norma, attraverso conversazioni pubbliche mediante l’utilizzo di piattaforme digitali o social media”. Non ha bisogni di commenti…

D. Ma cosa significa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’Amministrazione di appartenenza o in generale della pubblica amministrazione?

R. Urgono alcuni esempi pratici, fermo restando che la firma del Presidente Mattarella è un fatto vergognoso che stride con il suo ruolo di garante della Carta Costituzionale. Perché il Presidente della Repubblica, come avrebbero dovuto fare e non hanno mai fatto i suoi predecessori, non chiede l’applicazione di tutti i principi costituzionali in materia di lavoro, come il diritto a una equa retribuzione in tempi nei quali si sottoscrivono contratti nazionali con paghe orarie di 6 euro all’ora?
Prendiamo un Dipendente della scuola, educatore o insegnante che sia. Vi sembra accettabile che le scuole di ogni ordine e grado prevedano stages scuola lavoro nelle caserme militari o, come denuncia l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e dell’Università, alcuni istituti siciliani prevedano la presenza in classe di militari Usa e Nato? Se un insegnante pacifista o antimilitarista crede nel valore etico di una educazione di pace sarà scontata la critica ai Protocolli con le forze armate, con il nuovo codice il diritto al dissenso viene vilipeso e diventa motivo per giustificare provvedimenti disciplinari, da qui la strada al licenziamento è assai breve, basta che venga meno il rapporto di fiducia tra istituzione scolastica ed insegnante con l’accusa di avere recato danno alla immagine e al prestigio dell’Istituto comprensivo di appartenenza o perfino della Istituzione scolastica in generale.
Noi non abbiamo dimenticato i sanitari sospesi o licenziati in tempo di covid per avere denunciato pubblicamente la carenza di personale e degli strumenti di lavoro (ad esempio i dispositivi di protezione individuale) durante la pandemia denunciando la inadeguatezza delle cure erogate alla cittadinanza. I sanitari colpiti da repressione negli anni scorsi senza queste norme saranno solo un numero esiguo rispetto a quanti potrebbero essere oggetto di feroce repressione in virtù di queste nuove norme, eppure stiamo parlando non dei furbetti del cartellino ma di quanti coraggiosamente denunciano in pubblico situazioni di grave disagio sociale e lavorativo spinti da evidenti ragioni etiche e morali e non certo dalla volontà di denigrare la sanità pubblica.
Chiudiamo con i Dipendenti degli Enti locali che attraverso i sociali diffondano critiche o volantini sindacali per contestare pubblicamente e tramite i social, il dissenso verso atti organizzativi, delibere di Giunta, riorganizzazioni aziendali. Siamo certi che un semplice post possa essere visionato dall’Ente che ormai tacitamente si affida a qualche elettore o a zelanti e servili dipendenti per passare in rassegna social e siti al fine di trovare notizie da censurare e nel nome delle quali far partire l’iter del provvedimento disciplinare. Siamo in presenza di un presente dispotico contro il quale attivarsi prima che gli ultimi spazi di libertà, democrazia e diritto al dissenso siano inesorabilmente chiusi. Stesso discorso vale per un Dipendente delle Forze armate che denunci la mancanza di sicurezza o la presenza di situazioni di rischio per i soldati, è accaduto nel passato con i mesoteliomi provocati dall’uranio impoverito e potrebbe avvenire in futuro con sistemi di arma di ultima generazione la cui nocività è ancora sconosciuta. E attenzione: il licenziamento non sarà la sola arma contro la libertà di critica, tutti i dipendenti pubblici devono poi rispondere alla Corte dei Conti e non solo per danno erariale ma anche di immagine e il rischio concreto è quello di essere costretti a pagare decine di migliaia di euro vendendo la propria casa e dilapidando i risparmi familiari. Non sono in gioco solo libertà di critica e di parola, ci sembra evidente l’obiettivo del governo di tappare la bocca ai dipendenti pubblici e dopo l’obbligo di fedeltà aziendale che ha portato al licenziamento di tanti sanitari che in tempi pandemici denunciavano le inefficienze del sistema sanitario oggi la repressione si estende a tutti i comparti della Pubblica Amministrazione.